Tema. Chiaro e chiaror di luna. Svolgo. - Le Cronache
Editoriale

Tema. Chiaro e chiaror di luna. Svolgo.

Tema. Chiaro e chiaror di luna. Svolgo.

Tema. Chiaro e chiaror di luna. Svolgo.

Di Federico Sanguineti

Chi non ricorda il «chiaro di luna» dell’ottavo capitolo dei ‘Promessi sposi’, quando Renzo «ha tutta l’apparenza d’un oppressore; eppure, alla fin de’ fatti, era l’oppresso»; e, viceversa, Don Abbondio «parrebbe la vittima; eppure, in realtà, era lui che faceva un sopruso»? Proprio in quel momento, scrive Manzoni, cogliendo il paradosso della vicenda, c’era «il più bel chiaro di luna». E come ignorare la luna «vereconda» nell’‘Ultimo canto di Saffo’ di Leopardi, «queta» nella ‘Sera del dì di festa’, «graziosa» e «diletta» nell’idillio a lei dedicato? Non occorre quindi evocare la romanza da salotto intitolata ‘Quando al chiaror di luna’ per ricordare che, nell’Ottocento, «lieta sarai soltanto quando sarai con me». Si direbbe invece che, per liberarsi del romanticismo, occorra attendere l’‘Espettorazione di un tisico alla luna’ nelle ‘Nuove Revolverate’ di Lucini. Oppure, stavolta sia in nome della «guerra, sola igiene del mondo», che del «disprezzo della donna», il proclama di Filippo Tommaso Marinetti intitolato ‘Uccidiamo il chiaro di luna!’ (1909), edito nel 1911 per le Edizioni Futuriste di «Poesia». Ma non è così, se si vogliono «ripristinare sul serio le trovatine di Annie Vivanti» (come direbbe Alberto Arbasino), giacché, fin dalla prima quartina di ‘Nova’, inclusa nella raccolta ‘Lirica’ (1890), la poetessa dichiara: «Non voglio più cantare i vecchi amori, / L’eterno aprile ed il chiaror di luna. / Ho in uggia il cielo azzurro e gli astri e i fiori, / La brezza, le barchette e la laguna!». Qui non si tratta di poesia che debba «prorompere da un temperamento di femmina lirico», come vorrebbe Carducci, ma di chiudere con la tradizione per aprirsi al nuovo, senonché il pregiudizio misogino (conscio o inconscio) impedisce di cogliere tanto l’arte allusiva quanto la capacità di precorrere i tempi. E tuttavia l’intertestualità fra «cantare» e «canto» si conferma con il sintagma «eterno aprile», proveniente da un sonetto intitolato ‘Al mare’ incluso da Edmondo De Amicis nelle ‘Poesie’ del 1880: «Salve, o gran mar! Come un eterno aprile / al canto sempre il riso tuo m’invita…». Vivanti è pertanto consapevole della necessità di liberarsi dai languori del passato: «Odio le serenate, i mandolini, / Le dame bionde e i pallidi garzoni, / Quella folla di tristi fantoccini, / Popolo da sonetti e da canzoni» (vv. 5-8): le odiate «dame» sono infatti «bionde» come nel libro ‘Cuore’ (1886) la madre di Nelli è «bionda» e «pallidi» i «garzoni» come il tamburino sardo è «pallido»; i «fantoccini» a loro volta risalgono al ‘Morgante’ di Pulci («gli uomin parean fantaccini di ceri», XXIV 59) e al ‘Malmantile racquistato’ di Lippi («Così fanno talor due fantoccini», I 34). La dittologia «audace e forte» riecheggia poi non solo l’‘Orlando furioso’ (XLV 43) ma anche l’‘Iliade’ di Vincenzo Monti (XIII 383): «Io voglio un nuovo canto audace e forte / Disdegnoso di regole e di rime, / Voglio un amor che rida della morte, / Voglio del genio la pazzia sublime!». Sarà mera suggestione, ma non si può leggere l’anafora («Io voglio… Voglio… Voglio…») se non come anticipazione di ‘Uccidiamo il chiaro di luna!’: «Voglio preziosi gingilli da rompere…»; «Voglio addomesticare i Venti e tenerli a guinzaglio… Voglio una muta di Venti, fluidi levrieri, per dar la caccia ai cirri flosci e barbuti!». Ma, mentre il futurismo si traduce in sopraffazione misogina, resta, come chiarito finalmente da Johnny Bertolio in ‘Controcanone’ (2022), «la volontà della giovane Vivanti di andare contro il canone».