Storia della Procura di Salerno dal 1979 al 1994 - Le Cronache Ultimora
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Storia della Procura di Salerno dal 1979 al 1994

Storia della Procura di Salerno dal 1979 al 1994

Michelangelo Russo

Nell’approssimarsi della riforma costituzionale della Giustizia, sul cui binario il Governo procede senza ascoltare la voce della Magistratura e delle opposizioni, può essere utile una riflessione su quanto, in realtà, l’azione della Magistratura abbia inciso, negli ultimi trent’anni, nel percorso di libertà e di ammodernamento della società. Nel rispetto dei valori costituzionali di eguaglianza e di riscatto dei diritti fondamentali di tutta la società, con riguardo ai beni immateriali della cultura e dell’ambiente. Salerno, in questo percorso della Giustizia nazionale sul cammino della modernizzazione in armonia con le democrazie europee più avanzate, è stata un esperimento, forse unico nel Meridione d’Italia (ad eccezione di Palermo, esempio eroico di contrasto alle incrostazioni della Mafia con la politica) ad influire notevolmente nell’evoluzione della società e della politica da una situazione di cristallizzazione delle componenti politico-istituzionali in un movimento impetuoso, a partire dal 1990, teso al cambiamento degli assetti sociali e urbani. Congelati da anni di attendismo e di rassegnazione alle dinamiche imposte dall’immobilismo delle clientele e dalla visione servilistica dei potentati, grandi e piccoli, del territorio salernitano. Provincia del Sud tra le tante simili, territori senza orizzonti culturali e progettuali. La rievocazione di quegli anni fondamentali, tra il 1979 e il 1994, coincide necessariamente con i ricordi personali di chi scrive. Che non è uno storico, ma un testimone. Buona parte degli eventi storici sono ricordati non solo con l’ausilio della memoria, ma sono anche suffragati da prove scritte ricavate da una copiosa raccolta personale di ritagli di quotidiani e di riviste dell’epoca. Fu una stagione, questa in narrazione, straordinariamente attenzionata dai mezzi mediatici anche nazionali della carta stampata, quale mai si era vista prima in una piccola città del Meridione. E’ inteso che la ricostruzione storica, essendo per lo più affidata alle memorie personali, può essere migliorata nella sua attendibilità dagli interventi, si spera congrui, di chi volesse correggere punti salienti del racconto. Il contraddittorio auspicato sarà fondamentale per un dibattito sull’identità territoriale salernitana che può essere utilissimo per ricordare, soprattutto alle nuove generazioni, chi eravamo, noi, cittadini di Salerno e dintorni. E’ l’inizio di gennaio del 1979. Arrivo alla Procura di Salerno provenendo da quella di Milano. Lascio una metropoli angosciata dalle tensioni di un conflitto politico e sociale gravido di tensioni. La Milano di Giorgio Strehler e di Dario Fo, dei primi stilisti di grido, degli scontri di massa del popolo studentesco con la Polizia, degli assedi al Tribunale e della progettazione avanzata, di Gaber e di Giulia Crespi, delle gambizzazioni quotidiane di giornalisti e dirigenti industriali,vive l’inverno del 1979 nella nebbia cupa delle incertezze. Salerno, nello stesso gennaio, ha un sole tiepido, quasi di primavera. Il vecchio Tribunale non ha la maestosità grigia, tombale, del Tribunale milanese, mausoleo del lirismo cimiteriale del progettista Marcello Piacentini. Il Tribunale di Salerno è un misto di eclettismo mediterraneo, teso ad assorbire la luce più che ad espellerla. Ma è una luce dal sapore coloniale, quale si addice alla linea delle palme e dei caffè (come Giorgio Bocca descriveva il confine dello stato autonomo del Mezzogiorno). La Procura di Salerno, al mio arrivo, ha già sei sostituti. Sono Nicola Giacumbi, Raffele Niceforo, Alfonso Lamberti, Luigi Apicella, Domenico Romano, Felice Scermino. Felice Scermino, che ha già dodici anni di anzianità e circa 40 anni, è il giovanotto del gruppo. Procuratore Capo è Nicola Lupo, vecchio gentiluomo cilentano, che è incuriosito dall’arrivo del settimo sostituto, di appena 32 anni con 7 anni di anzianità, che porta la diversità della cultura metropolitana del Nord nei modi di esprimersi delle requisitorie e nelle aule di udienza. La Procura di Salerno vive i fasti della normalità e della rassegnazione di una giurisdizione di provincia legata alla memoria dei rari delitti di sangue e alla prassi scontata di gestione dei reati contro il patrimonio. C’è stata una breve stagione, si, di reati a sfondo politico: cortei, scontri tra fascisti e movimento studentesco, e il tragico omicidio Falvella di anni prima. Ma il Palazzo di Giustizia non è mai stato travolto dalla contestazione. Sulla mia scrivania trovo montagne di lavoro arretrato. Nel 1979 la Procura ha giurisdizione, con solo sette sostituti, su un territorio enorme che da Capaccio arriva fino a Scafati e la Valle intera dell’Irno. Il Tribunale di Nocera arriverà solo ai primi anni ’90. Ci sono i Putori, è vero, ma amministrano solo i reati bagattellari, esclusi i furti aggravati (che sono quasi tutti) ma incluse le contravvenzioni urbanistiche (ed è qui il primo disastro del controllo urbanistico, eccessivamente frammentato sul territorio). Ma il grosso del contrasto legalitario sta in Procura, affogata dalle quantità ordinarie. Nel Palazzo di Giustizia l’atmosfera coloniale è accentuata dagli uffici di noi sostituti. Enormi, intristiti dal mobilio stile umbertino degli arredi, appena aggraziati dalle piante equatoriali nelle stanze che accentuano il vago sapore caraibico del tutto. I tempi delle udienze sono lunghissimi, anche se si trattano più processi delle udienze attuali con il nuovo codice del 1990. Il Foro sta nei corridoi. Hanno una sede storica dell’Ordine che sta al terzo piano, che pare una centrale operativa del vero potere giudiziario. Hanno armadi personali nei corridoi, dove riporre documenti e toghe. Si capisce che controllano, in un certo senso, il Palazzo. E’ la cultura della Difesa che domina. Che non concepisce, però, l’iniziativa evolutiva della giurisdizione.