Stefano Incerti: C’è chi i piatti li fa, chi li mangia - Le Cronache Attualità
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Stefano Incerti: C’è chi i piatti li fa, chi li mangia

Stefano Incerti: C’è chi i piatti li fa, chi li mangia

E poi c’è chi li racconta, li giudica, li vive a tal punto da poter decidere se una cucina merita una stella o una critica. Quando si siede al tavolo, gli chef trattengono il fiato, perché lui le stelle le sa dare, ma anche togliere. Stiamo parlando di Stefano Incerti classe 1973, milanese di nascita e toscano d’adozione.  Appassionato di Fine Dining, ha collezionato esperienze nei ristoranti più prestigiosi del mondo, trasformando nel tempo la sua passione in mestiere. Oggi è critico gastronomico, food writer e content creator internazionale, penna affilata e palato esigente. Nel 2018 apre il profilo Instagram @stefanokitchen, un nome che dice tutto: perché le sue cene finiscono spesso nella cucina degli chef, tra chi davvero conosce e costruisce il gusto. Collabora con magazine gastronomici e guide ristoranti, in Italia e all’estero, e non tollera chi non prende la cucina sul serio. Per lui ogni piatto è una storia, ogni ristorante un mondo da attraversare con rispetto, attenzione e sguardo critico.

Come nasce la sua passione per l’enogastronomia e quando ha capito che sarebbe diventata anche la tua professione?

Credo che con una passione ci si nasca. Sono da sempre interessato alla gastronomia e da sempre mi piace scrivere. Ricordo che da piccolo, quando andavo in vacanza con i miei genitori, mi tenevo traccia dei vari ristoranti nei quali ci fermavano, sia lungo il viaggio, sia nel luogo di destinazione. Accanto al nome, indirizzo e numero di telefono del ristorante, mi annotavo i piatti tipici di quel ristorante ed il nome del cameriere o cameriera che aveva fatto servizio al nostro tavolo, annotandone la simpatia o meno. Insomma una sorta di piccola guida personale su dove e cosa mangiare. Nel tempo viaggiando per imparare le lingue prima e per lavoro poi – lavoravo come responsabile commerciale estero – ho avuto la possibilità d’assaggiare varie cucine. Dopo la prima pubblicazione di un mio articolo e vista la reazione dei lettori, mi sono accorto che quello che con tanta passione scrivevo poteva piacere. Ed ho continuato. Sino a quando,  l’ultima azienda di produzione per la quale ho lavorato come dipendente non si è comportata in modo chiaro con me, promettendo cose che poi non si sono rivelate vere. È lì che ho deciso di lasciare il posto fisso e mi sono promesso che se qualcosa fosse andato male nel lavoro dovevo esserne l’unico responsabile.

Tornassi indietro è una decisione che prenderei molto prima;

Hai una formazione internazionale e parli cinque lingue: quanto ha influenzato questo aspetto il suo modo di raccontare il cibo?

Uno nasce con un palato vocato al gusto, così come uno nasce con un estro sportivo, musicale o artistico in genere. Poi, come ogni cosa alla quale sei naturalmente predisposto, devi allenarti, affidarti, perfezionarti e studiare tanto. Il fatto di aver sempre viaggiato all’estero sin ha moltiplicato esponenzialmente la mia fame di sapere, di conoscere nuove cucine. Quindi il viaggio è fonte inesauribile per conoscere le varie cucine del mondo. Conoscere nuovi metodi di cottura, nuove tipologie d’insalate, nuove spezie e ricette. Poi, ripeto, non ci si può fermare in superficie, si deve approfondire e studiare. Non si finisce mai ed è proprio questo il bello;

Com’è cambiato negli anni il mestiere del critico gastronomico? È ancora possibile parlare di oggettività nel giudizio?

Avendo 51 anni ho vissuto la fase del passaggio dalla carta stampata – anche se per poco e di riflesso – al digitale. L’inizio dei social e la loro potenza mediatica. Prima dei social media era forse più semplice fare una prova tavola in incognito. Adesso dopo la firma su di un articolo online ti scoprono subito. In questo senso è diverso ma quello che non deve mai mancare, adesso come prima, è l’oggettività del giudizio. Per etica professionale, per rispetto nei confronti dei lettori, della community social, per il proprio rispetto e quello dei ristoranti. Sono dell’avviso che con rispetto ed educazione si possa scrivere tutto, anche un giudizio negativo, importante è la verità di ciò che si asserisce;

Quali sono i parametri che considera più importanti quando valuta un ristorante?

Se è vero che al ristorante ci si va per mangiare, se ci pensiamo, sulle 2 ore di media per un pasto, mastichiamo per circa 25/35 minuti. Il resto del tempo che si passa al ristorante è tempo che viene colmato dal servizio e l’empatia del personale di sala. Ecco perché la cucina è sì fondamentale ma anche il servizio di sala acquista un valore d’estrema importanza. Per rispondere più direttamente alla tua domanda io valuto la sala, la mise en place, il piatto ed il servizio di sala. Del piatto l’impiattamento, le cromie, la scelta del piatto di portata ed all’assaggio che sia bilanciato nei gusti, che nessun ingrediente prevarichi sull’altro e che tutti si sentano ben distintamente. Cottura e consistenze e fedeltà della ricetta se si tratta di un piatto della tradizione;

Un’esperienza gastronomica?

A dirti la verità ce ne sono state molte e spero che me ne aspettino ancora tante altre. Non voglio far nomi di chef o ristoranti per non far torto a nessuno.  Ognuna è stata positiva per aspetti gastronomici diversi. Ognuno ha la propria filosofia di cucina, non esiste una sola buona cucina.

Tra le esperienze negative ne ricordo due: in un ristorante ho contestato la cottura della pasta arrivata in tavola stracotta. Una volta chiamato lo chef al tavolo mi sono sentito rispondere che purtroppo il fornitore di pasta gli aveva inviato una fornitura difettata. A parte la bugia, nel caso fosse stata la verità, l’errore è comunque della cucina che pur sapendolo fa uscire un piatto con quella pasta.

In un altro caso pasta arrivata in tavola completamente senza sale nel bollitore e nel condimento. Ho chiamato lo chef e si è presentato il titolare al tavolo. Mi sono sentito rispondere con un sorriso a presa di giro che il ristorante tiene alla salute dei propri clienti. Ecco la mancanza d’educazione e rispetto proprio non la tollero;

Qual è  il tratto che accomuna la buona cucina?

La buona cucina è accomunata dalla freschezza ed eccellenza delle materie prime utilizzate. Da cotture che esaltano gli ingredienti e da condimenti che rispettano il piatto ed il cliente;

Oggi si parla molto di storytelling gastronomico,  quanto conta la narrazione rispetto alla sostanza nel piatto?

Il piatto e la sostanza del piatto vincono su tutto. Al ristorante, ripeto, si va per mangiare, se voglio leggere una bella storia leggo un libro. Se la sostanza del piatto c’è è bello anche dar voce alle belle storie di persone e di prodotti che ci sono dietro a quel piatto, a quel ristorante. Allora sì che lo storytelling acquista un valore aggiunto importante.

Se non c’è sostanza nel piatto, la bella storia si sostiene difficilmente;

Che ruolo hanno avuto i social nel   lavoro di comunicatore del gusto?

I social hanno avuto ed hanno un ruolo importante, molto importante. Hanno contribuito in maniera più rapida a dare a tutti noi una visibilità che forse avremmo ottenuto dopo tantissimi anni di lavoro. I social ci rendono più vicini alla nostra community, ai nostri lettori. Io passo molto tempo ogni giorno a rispondere ai vari messaggi di persone che mi chiedono consiglio su dove andare a mangiare nella città nella quale si trovano per vacanza o lavoro. Se vedono che ci sono stato mi chiedono quale piatto mi sento di consigliare loro.

Esprimere sempre un giudizio chiaro, oggettivo e non influenzato dalle proprie preferenze di gusto è fondamentale;

Come riesce a bilanciare la sincerità del giudizio con il rispetto del lavoro altrui?

Dietro ad ogni piatto ben eseguito o sbagliato che sia, ci sono persone che lavorano, famiglie che mangiano con quegli stipendi, imprenditori che hanno investito nella loro attività. Il rispetto, l’educazione vengono prima di tutto. Così come l’etica professionale anche quando si comunica e si scrive gli errori commessi nell’esecuzione della portata. Va fatto perché è il nostro lavoro e siamo chiamati a questo. Come un maestro o un professore a scuola, si è più contenti quando si da un bel voto e si scrive un bel giudizio. Ma è corretto scrivere anche quando il giudizio non è positivo. L’importante è farlo sempre con estrema educazione.

Un consiglio per chi sogna di intraprendere la sua carriera.

Se c’è una cosa importante per tutti è la fame di conoscenza, la voglia di studiare, di continuare sempre a farlo e la voglia di approfondire. Non commettere l’errore di fermarsi al “è buono” o “non è buono” perché al lettore spesso importa poco. Il lettore vuol sapere piuttosto se il piatto è corretto, ben eseguito. Cos’ha di speciale e cosa no. Vuol capire se merita visitare quel ristorante oppure no, se fare l’esperienza che si propone oppure no.

Raffaella D’Andrea