Salerno si è ritrovata nelle sue strade, nelle sue chiese, nelle sue tradizioni del Giovedì Santo, l’adorazione, la veglia, la Chiesa del Carmine e quella di Sant’Agostino gli altari più accorsati. Oggi il rito in tenebris caratterizzerà la giornata, di buio, silenzio, smarrimento
Di Olga Chieffi
Foto servizio di Pasquale Auricchio
«Simone, dormi? Non sei riuscito a vegliare una sola ora? Vegliate e pregate per non entrare in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole». Si allontanò di nuovo e pregò dicendo le stesse parole. Poi venne di nuovo e li trovò addormentati, perché i loro occhi si erano fatti pesanti, e non sapevano che cosa rispondergli. Mc 14,33-40. C’è un filo sottile e ininterrotto che lega, oltre il tempo e il rapido mutare della società, i riti della Settimana Santa, la rappresentazione dei misteri della Passione e della Morte di Cristo. Ispirate dal pensiero cristiano, processioni, veglie, riflessioni, tendono a una particolare profondità di espressione, a una densa emotività capace di richiamare la gravità e la pregnanza della sofferenza del Dio incarnato. Salerno si è ritrovata ieri nelle sue strade, nelle sue chiese, nelle sue tradizioni del Giovedì Santo, l’adorazione, la veglia, quella noise particolare che si è avvertito intorno agli altari della reposizione. Il rumore di fondo è forse lo sfondo dell’essere. Il rumore di fondo non cessa mai, è illimitato, è continuo, perpetuo inalterabile, non ha fondo, non ha contraddittorio. Quanto rumore bisogna fare per imporre silenzio al rumore? E quale furore formidabile mette ordine nel furore? Ci è stato chiesto di non dormire stanotte di vegliare, alla vigilia di una morte. Sinestetico è l’altare della chiesa di Sant’Agostino, incensi e fiori di tutte le specie stordiscono i sensi “Anche il passero trova la casa, la rondine il nido, dove porre i suoi piccoli, presso i tuoi altari, Signore degli eserciti, mio re e mio Dio” recita il salmo 84, 4-5 al centro dell’altare il nido ove trovano uova fragili ma cariche di promesse, un nido sicuro dove crescere nella pienezza della gioia attraverso il nutrimento dell’Eucarestia, pane della vita. Chiesa Giubilare quella della Madonna del Carmine che ha accolto anche i fedeli di San Francesco dei padri cappuccini, intorno all’altare per la veglia, nel turbinio delle confessioni, e dei canti, una porta sicura da attraversare, una porta da santa da aprire e attraversare con grande coraggio, con Don Biagio Napoletano, padre Giampiero Canelli e il notaio della antica congrega Paolo Califano. Duomo aperto, perché chiesa giubilare con il Crocifisso coperto di tela rossa. In cattedrale si ripristina la Velatio. La croce ha da coprirsi in bianco o in viola e la “Velatio” conserva ancora oggi un profondo significato e una intensa capacità catechetica ed emotiva: nascondere alla vista le immagini dei Santi aiuta a concentrarsi su Colui che è l’origine di ogni santità. La velatura delle croci sottolinea anche fisicamente la privazione di Cristo, il “venir meno dello sposo”: “Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo; chi si affligge per la sua sorte? Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi” dice il profeta Isaia (53,8). Quei veli che nascondono il Cristo alla nostra vista stanno a ricordare che quell’evento riaccade ancora oggi. Che anche noi siamo “tra gli uccisori di Cristo”, tra quelli che lo volevano gettare dal precipizio della città di Nazaret, o lapidarlo nel tempio di Gerusalemme. Si tratta, dunque, di un segno efficace che aiuta a meditare, riflettere e pregare sulla tragicità della condizione umana senza la presenza del Dio redentore. In San Domenico l’Altare ha rievocato l’ostia e il tabernacolo in una cornice di fiori bianchi, mentre in San Pietro in Camerellis doppio simbolismo: da una parte i chiodi, la corona di spine, i dadi, il titulus crucis Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum, dall’altra l’uva il pane, l’amaro calice, l’olio, l’acqua, e sullo sfondo la lavanda dei piedi, atto di accoglienza e servizio nei confronti dell’Umanità. Fiori bianchi e il verde che rimanda alla rinascita nella chiesa dell’Annunziata, la tavola, i nomi degli apostoli il vino, il pane e l’olio. Una sintesi, quella di Don Sabatino Naddeo, tra creazione e storia: doni di Dio che ci collegano sempre con quei luoghi del mondo, nei quali Dio ha voluto agire con noi nel tempo della storia, diventare uno di noi. Esposti ai piedi dell’altare i germogli di grano cresciuti nell’oscurità. I germogli di grano sono un dono pagano, simbolo del concetto fecondità-vita-desiderio del luogo felice, che risiede nel giardino. I piccoli vasi divengono, così simbolo di kepos o paradeisos di inesplorate delizie: una visione – che ritroviamo nel Cantico dei Cantici IV 13 – dove si passa dall’ombra, a un’oasi di verde e di luce, che si adorna dei fiori più belli e si insapora dei frutti più dolci, per andare oltre il Venerdì Santo, con le sue tristi ombre, il perpetuo crepuscolo di questo momento.






