di Pina Ferro
C’è anche il battipagliese Marco Molinaro, 33 anni, tra i detenuti destinatari dell’ordinanza di custodia emessa dalla Procura di Napoli a conclusione di una lunga indagine circa un giro di spaccio allestito all’interno del carcere di Secondigliano a Napoli. Molinaro, con diversi precedenti, per gli investigatori sarebbe vicino al clan Giffoni – Noschese attivo nell’area nell’area della Piana e dei Picentini. La piazza di spaccio debellata dai carabinieri del nucleo investigativo del Comando provinciale di Napoli era gestita da detenuti ma erano coinvolti anche agenti della polizia penitenziaria.
Le accuse contestate sono, a vario titolo, associazione finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti e corruzione per commettere atti contrari ai doveri d’ufficio. Marco Molinaro, insieme ad altri detenuti era addetto “all’interno del reparto Ligure S3 quarta sezione, al trasposto e alla consegna della droga ai vari detenuti incaricati dello spaccio al dettaglio delle singole dosi”.
Quattro gli agenti della Polizia Penitenziaria arrestati ieri insieme ai detenuti che, secondo gli inquirenti, si sarebbero fatti corrompere per consentire l’introduzione dello stupefacente, di cellulari e anche per favorire lo spostamento dei detenuti all’interno della struttura carceraria anche agevolando la sistemazione di appartenenti al medesimo sodalizio nelle stesse celle. Per un agente, attualmente in pensione ma in servizio all’epoca dei fatti contestati, il gip di Napoli ha disposto il carcere mentre agli altri tre sono stati notificati gli arresti domiciliari. Si tratta di Salvatore Mavilla, 59 anni (in carcere) e di Salvatore, Mario Fabozzi, 55 anni, Francesco Gigante, 58 anni e Giuseppe Tucci, 47 anni, gli ultimi tre tutti ai domiciliari. Gli arresti eseguiti dai carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Napoli e dal Nucleo Investigativo Centrale del Corpo della Polizia Penitenziaria sono complessivamente 26, tra Napoli, Frosinone e Salerno nonche’ presso le Case Circondariali di Napoli, Campobasso, Cosenza, Fossombrone (Pesaro e Urbino), Spoleto (Pescara), Voghera (Pavia), Saluzzo (Cuneo), Tolmezzo (Udine) e Trapani. L’indagine, coordinata dai sostituti procuratori antimafia Luigi Landolfi e Simona Rossi, ha permesso di raccogliere plurime fonti di prova, anche a riscontro delle dichiarazioni rese da più collaboratori di giustizia, circa l’esistenza di una piazza di spaccio all’interno della Casa Circondariale di Napoli -Secondigliano, gestita da detenuti mediante il commercio di sostanze stupefacenti di vario tipo (cocaina, hashish e marijuana) introdotte nell’istituto penitenziario.
Ci moltissimi elementi di spicco della criminalità organizzata, come Antonio Napoletano, detto “o’ nannone”, il giovanissimo baby boss del clan Sibillo, attualmente detenuto a Fossombrone, tra i destinatari delle misure cautelari notificate oggi dai Carabinieri
Oltre a Napoletano, poi, ci sono anche esponenti della criminalità organizza del quartiere Soccavo di Napoli, come i cugini Alfredo Vigilia Junior (detenuto nel carcere di Tolmezzo), 28 anni, e Pasquale Vigilia (detenuto a Cosenza), 34 anni. Le persone raggiunte dalle misure cautelari che non erano detenute sono Luisa di Fusco (ritenuta appartenente al clan vigilia di Soccavo); Eduardo Fabricino (ritenuto appartenente al clan Abbinante); Angelo Marasco e Giuseppe Mazziotti (ritenuti appartenenti clan Vigilia); Marco Molinaro (ritenuto appartenente clan Giffoni-Noschese di Battipaglia); Salvatore Ottaviano (ritenuto appartenente al clan Fusco di Cercola); Ciro Quindici (ritenuto appartenente al clan Mazzarella); Salvatore Scotti (ritenuto appartenente al clan Vigilia). Tra i detenuti ‘colpiti’ da misura cautelare invece risultano Antonio Autore (ritenuto appartenente al clan De Micco); Salvatore Basile (ritenuto appartenente clan Puccinelli del rione Traiano di Napoli); Eugenio D’Atri (ritenuto appartenente al un gruppo criminale dei paesi vesuviani); Cristian Monaco (ritenuto appartenente al clan Vigilia); Pasquale Nasti (ritenuto appartenente al clan del Prete); Raffaele Riccio (ritenuto appartenente al clan Sibillo); Gennaro Ruggiero (ritenuto appartenente al clan Lo Russo); Raffaele Valda (ritenuto appartenente clan Amodio-Abrunzo di Torre del Greco); Fabio Crocella (ritenuto appartenente al clan Mazzarella); Michele Elia (ritenuto appartenente al clan Elia). Ai domiciliari è invece finita Patrizia D’Angelo, con l’accusa di avere corrotto un pubblico ufficiale per indurlo a commettere atti contrari doveri d’ufficio.
C’era un fiorente traffico, non solo di droga, ma anche di cellulari, orologi, profumi, cibi pregiati e lettori Mp3, grazie agli agenti della Penitenziaria indagati, nel carcere di Sconsigliano. A rivelarlo agli inquirenti è stato il collaboratore di giustizia, Ciro Niglio. Per ogni carico che entrava in carcere “la guardia riceveva 500 euro”. Emerge dall’ordinanza di custodia cautelare con la quale il gip di Napoli Isabella Iaselli, ha disposto 28 misure cautelari nell’ambito di un’indagine dei carabinieri e della stessa polizia penitenziaria, coordinata dalla DDA di Napoli, che ha consentito di scoprire l’esistenza nel carcere napoletano di una fiorente piazza di spaccio. Sempre secondo il collaboratore di giustizia, inoltre, lo stesso metodo veniva utilizzato anche per trasmettere o ricevere messaggi per e dagli affiliati in libertà. I servigi di un appuntato, Antonio Napoletano, detto “o’ ninnone”, baby boss del clan Sibillo, se li accaparrò facendogli un favore: fu proprio l’agente a rivolversi a lui. Gli chiese di intercedere affinche’ “gli uomini di san Gaetano” (piazza nel cuore di Napoli dove il clan Sibillo fa i suoi affari illeciti, ndr) convincessero suo figlio (dell’appuntato, ndr) a non vendere più la droga nel rione. Il patto fu onorato e pagato con una “stecca di fumo (di droga, ndr) e da quel momento sia Niglio che Napoletano utilizzarono l’appuntato Luigi per far entrare oggetti in carcere: la consegna avveniva sempre durante il turno di mezzanotte e l’appuntato nascondeva gli oggetti nel giubbino della sua divisa. Anche Ciro Contini, nipote del boss Eduardo, dopo l’arresto per possesso di armi, si è servito dello stesso appuntato, sempre secondo il “pentito”, per far entrare la droga. Si trattava di panetti di hashish, già tagliati in dosi, da 250 grammi. Particolarmente ingegnoso era il modo di venderla: l’hashish (procurata dal fratello di Napoletano, quindi dal clan Sibillo, ndr) veniva infilato in più preservativi e poi in palloncini di plastica i quali, a loro volta, venivano introdotti nelle bottiglie di bagnoschiuma “Vidal” di colore nero, uguali a quelle che venivano vendute nello spaccio del carcere. Il fratello di Napoletano le consegnava all’appuntato che, sempre attraverso il turno di mezzanotte, le recapitava nascondendole nelle maniche del giubbotto di ordinanza. L’agente Luigi, sempre in virtù del favore ricevuto, non prendeva soldi per questa collaborazione. Ogni tanto, Ciro Contini, gli regalava cinquecento o mille euro. Quando scoppiò la faida della cosiddetta “paranza dei bambini” ( e quindi la scissione delle famiglie Sibillo, Contini e Amirante dal clan Rinaldi), l’appuntato procurò a Ciro Contini e ad Antonio Napoletano, un telefono cellulare con 4-5 sim “pulite” che hanno consentito ai due di comunicare con le rispettive famiglie.
Tutto aveva un prezzo. Per far entrare nel carcere di Secondiglliano a Napoli pacchetti di droga bisognava pagare alla polizia penitenziaria corrotta 300 euro; per far entrare cellulari 200 euro; per spostare detenuti da un reparto all’altro di modo che gli affiliati allo stesso clan potevano essere nelle stesse celle, 3 mila euro. Il tariffario era imposto dagli agenti corrotti che così, quasi alla pari dei detenuti, riuscivano a gestire il traffico di droga. Nell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Isabella Iaselli, ci sono le dichiarazioni di undici collaboratori di giustizia che hanno raccontato ai pm della Dda come il carcere di Sconsigliano era diventato una piazza di droga. Tutto ruotava attorno ai clan di Soccavo, quartiere occidentale di Napoli. Era da lì che arrivavano i pacchetti di droga che le mogli di due detenuti consegnavano di volta in volta agli agenti di polizia.
“Si vendeva le celle”, cioè, “riceveva soldi dai detenuti e dai loro familiari, all’esterno del carcere, per consentire i cambi di stanze e mettere i detenuti nelle celle con i compagni che volevano”. Ad accusare l’ispettore Francesco Gigante, uno dei tre agenti della Polizia Penitenziaria finiti ai domiciliari ieri, è il collaboratore di giustizia Enzo Topo, all’epoca dei fatti contestati detenuto nella sezione “4” del Reparto Ligure. Ma il “pentito”, che dichiara di avere appreso le informazioni da altri detenuti, non è il solo ad accusare Gigante. Lo fa, il 31 luglio 2019, anche un altro agente, arrestato a già condannato per corruzione: secondo il suo racconto l’ispettore, coordinatore del Reparto Ligure da 20 anni e in stretti legami con un detenuto ritenuto appartenente al clan Moccia che gli faceva da intermediario, chiedeva 1000 o 1200 euro per lo spostamento da una stanza all’altra e 4mila o 5mila euro quando si trattava di ottenere lo spostamento in un altro carcere o dall’isolamento. A parlare dell’introduzione e della distribuzione della droga all’interno del carcere è, tra gli altri, il collaboratore di giustizia Vincenzo Amirante, il 3 agosto 2020. Secondo il “pentito”, tutte le settimane, nella sua sezione, arrivavano borselli contenenti droga ma anche telefonini e profumo. Da altri due detenuti seppe che a rendere possibile l’ingresso dei borselli era una guardia penitenziaria. I borselli venivano portati con il trattore nei pressi del campo di calcio dove i vari lavoranti della cucina li ritiravano, ciascuno per la propria sezione. In cucina, infine, la droga veniva tagliata per la distribuzione. A parlare del tariffario adottato da un agente della Polizia Penitenziaria del carcere gia’ arrestato e condannato per episodi di corruzione legati all’introduzione di droga, cellulari e altro in carcere, e’ un detenuto interrogato il 29 agosto del 2018: il poliziotto, secondo il racconto fornito dal detenuto, per consegnare un panetto di droga prendeva 700 euro; mille euro per due panetti e per quattro panetti da 100 grammi ciascuno 1300 euro.