di Peppe Rinaldi
Perché un ente locale possa essere considerato infiltrato dalla mafia non è sufficiente che, ad esempio, un sindaco venga arrestato per una delle ipotesi di reato collegate al crimine organizzato: per paradosso, potrebbe anche essere il boss di una ‘ndrina tenendo fuori dagli impicci l’amministrazione pubblica, che potrebbe non essere stata contagiata. In pratica, ai fini dell’eventuale scioglimento di un Comune, di una Provincia o di un’Asl, va sempre dimostrato l’asservimento sistematico della macchina amministrativa ai desiderata dei clan, attraverso il via libera a determine di pagamento o appalti alla società mafiosa o contigua alle cosche, assunzioni nei ranghi pubblici e così via. Lo stabiliscono la legge, la giurisprudenza e larga parte della dottrina e della pubblicistica successive al varo delle leggi «speciali» in materia di pubblica amministrazione e camorra, mafia eccetera. Non basta, quindi, che una consigliera comunale di Paestum – ad esempio – festeggi la chiusura della campagna elettorale in un ristorante di proprietà di un noto clan camorristico dell’area Eboli-Capaccio, facendosi ritrarre in compagnia di una rappresentanza degli eredi del clan stesso che, ovviamente, divulgheranno sui social la bella serata di «partecipazione e democrazia» appena conclusa, salvo poi risultare la recordwoman delle preferenze sbancando le urne quant’altri mai: prendere 1300 voti personali in un centro come Capaccio, per giunta senza essere indigena, equivale a prenderne, calcolando all’ingrosso, almeno 30-40 mila a Napoli, cosa possibile se ti chiami Maradona o Pino Daniele ma non se sei una pur brava ma sconosciuta persona, peraltro relativamente nuova alla vita politica. Il riferimento è alla signora Picariello, agropolese candidata a Paestum, arrestata per favoreggiamento nell’ambito della seconda ondata di manette a Capaccio chiesta ed ottenuta dalla Dda di Salerno, poi scarcerata dopo il primo interrogatorio di garanzia. Non basta neppure che un sindaco, ad esempio Franco Alfieri, inauguri la campagna elettorale (2019) proprio nello stabilimento balneare fonte del suo secondo arresto per scambio elettorale politico-mafioso: stiamo parlando del “Lido Kennedy”, notoriamente di proprietà dell’imprenditore Roberto Squecco, condannato per associazione mafiosa alla consorteria dei Marandino, figura che non necessita di ulteriori presentazioni. Come non basta che la di lui ex moglie, Stefania Nobili, abbia convogliato su Alfieri una considerevole messe di voti ed abbia svolto accanto al primo cittadino un ruolo politico-istituzionale non proprio secondario. La donna, colpita dall’ultima raffica dell’antimafia, è divorziata da Squecco, vive in Umbria ma i guai continua a scontarli in provincia di Salerno. Insomma, non bastano per certificare la penetrazione mafiosa gli elementi di commistione apparentemente certi, questo è pacifico e, in un certo senso, anche giusto.
Il tassello mancante
Esiste poi la «verità storica», al di là di come evolverà la parabola giudiziaria, che è ciò che interessa al cronista o all’osservatore: i quali notano, sempre per fare esempi, che dal novero dei fatti e delle circostanze venute a galla nel gran calderone Alfieri, mancherebbe un tassello, uno di quelli che andava nella stessa direzione delle indagini sin qui svolte e che hanno portato ad una seconda ordinanza cautelare per l’ex sindaco ed ex presidente della Provincia. Ora, maramaldeggiare su Alfieri è esercizio facile in tempi di disgrazia e qui non si ha alcuna voglia di rimestare nel torbido, le persone in quanto tali vanno sempre rispettate, specie se stanno sotto botta e non possono difendersi: infatti, spesso si leggono ricostruzioni e scenari sul suo caso che rasentano il ridicolo, in un senso o nell’altro. Restano, però, alcune cose che, al di là della procedura investigativa e giudiziaria, non possono non ingolosire chi guarda. Del tipo: c’era un consigliere comunale ed assessore di Paestum che di Roberto Squecco era socio in una srl al 50%. Si chiama Gianfranco Masiello, è un medico-veterinario dell’Asl, ergo un pubblico ufficiale, ed è stato candidato nel 2019 e nel 2024 risultando eletto con una buona dose di consensi. Masiello è stato al centro dell’interesse investigativo per un periodo di tempo, poi è sparito dal radar. Anche il tribunale per le misure di prevenzione s’è occupato di lui in relazione a questa società fatta con l’imprenditore capaccese divenuto celebre per una improvvida sfilata di ambulanze a sirene spiegate la notte del primo trionfo elettorale dell’ex padre-padrone del Pd, nonché delle relative istituzioni amministrate, a sud di Salerno. Il soggetto giuridico era la “SquecMas Paestum” srl (che sta per Squecco-Masiello), sede legale a Zimbor nella contea di Salaij in Romania, proprietaria di un terreno di circa 5mila metri quadri. Oggetto sociale della “SquecMas Paestum srl” è (o era) la “Attività di produzione di burro, latte, formaggi e altro prodotti lattiero-caseari”. Compagine sociale così suddivisa: 50% delle quote a Squecco, l’altro 50% a Masiello, mentre la rappresentanza legale era delegata a tal Donato Potolicchio, finito a sua volta nel mirino della giustizia per ipotesi legate al trasferimento fraudolento di beni e alla turbata libertà degli incanti. In astratto, quindi, tutto normale se non fosse per la particolarità di questa unione societaria che, a primo acchito, non può non suscitare curiosità visti i fatti per come sono andati, almeno sinora. Masiello è stato anche un politico impegnato in prima persona nella pubblica arena, come consigliere comunale e come assessore, poi il 6 dicembre dello scorso anno, con Alfieri ammanettato da due mesi per la vicenda degli appalti truccati, si è dimesso spiegando che erano venuti meno i presupposti iniziali che lo avevano indotto a ricandidarsi. “Dopo aver ringraziato i componenti dell’amministrazione – recitano, come sempre all’unisono, tutti i siti web e i media locali – i dirigenti e i dipendenti comunali, Masiello ha augurato a tutti buon lavoro, uscendo dalla scena politica del Comune”. Bene: ma Masiello è uscito pure dalla vicenda giudiziaria, nel senso che pur essendoci questa commistione tra politica e istituzioni con il vituperato Squecco, di lui sembrerebbero perse le tracce. Come mai? Eppure le carte parlano chiaro, era socio con Squecco (qualunque cosa voglia dire) e dal momento che i rapporti con lui vengono fermamente «bastonati», et pour cause, vien da chiedersi perché questa plateale contiguità non sia stata valorizzata al pari di altre, oggettivamente di rango minore. Poi, certo, qualche anno è trascorso e potrebbe essere successa qualunque cosa nel frattempo.
Alfieri ignorava tutto?
Alfieri non sapeva questo e non sapeva quello, va bene, perché non credergli: non sapeva chi fosse «veramente» Squecco, in un certo senso, però inaugura la campagna elettorale in un lido il cui titolare/padrone sarebbe a lui sconosciuto; non sapeva chi fosse e da dove venisse questo facoltoso imprenditore border line, però la sua (ex) moglie, Stefania Nobili, si candida con lui portandogli in dote bei voti; non sapeva neppure chi fosse Picariello, da Agropoli candidata a Capaccio dove incassa 1300 preferenze, come se ciò non fosse in sé un’anomalia tenuto conto del contesto. Non sapeva, ne consegue, neppure chi fosse Masiello, socio al 50% di Squecco in Romania ma, al contempo, stimato dirigente Asl, qualità tuttora perdurante in quanto di altro non si ha notizia e l’Asl non ha avuto nulla da obiettare. Insomma, Alfieri pur essendo considerato universalmente il massimo conoscitore del territorio – ed è, in un certo senso, vero – certi «dettagli» pare li ignorasse. Può capitare a tutti di fare scelte sbagliate nella vita, ci mancherebbe, vale per Masiello e pure per Alfieri: il punto non è questo, il punto sono (sarebbero) la logica e la dinamica di chi materialmente svolge le indagini e le rassegna al pubblico ministero, che poi valuterà secondo i suoi criteri e quelli della legge, non sempre accade ma questa è la regola. Ora, vediamo di raccapezzarci un po’ meglio: le indagini su Squecco furono fatte (anche) nel 2019 dalla Squadra Mobile, unità a lungo guidata da un poliziotto coniugato con un magistrato in servizio a Salerno. Erano gli ultimi anni della “dolcezza del vivere prima della rivoluzione”, tanto per scomodare il lamento di un certo Talleyrand (lamento sacrosanto, considerando come sono poi andate le cose, ma questa è un’altra storia), vale a dire erano tempi in cui gli uffici giudiziari apparivano contagiati dal batterio della politica, in prima e/o per interposta persona, con evidenti effetti a cascata sull’intera comunità. Poi c’è stata una specie di presa della Bastiglia o avrà soffiato lo Spirito Santo oppure le combriccole togate per una volta la indovinano, sta di fatto che il moto ha curvato: quegli atti di indagine probabilmente vengono riassunti dal nuovo capo della baracca, Giuseppe Borrelli, cambiano quindi ottica e prospettiva e inizia il secondo tempo, fino ad arrivare ai giorni nostri. Riparte così il meccanismo, novato fin dove possibile, arricchito o depotenziato secondo le interpretazioni del momento investigativo.





