di Jacopo Tafuri
Serena Stella, attrice teatrale, è figlia d’arte e, come spesso capita in famiglie fortemente legate al lavoro delle generazioni che le hanno precedute, e che praticamente si individuano, quasi indissolubilmente, con il lavoro che fanno, ha voluto continuare a cimentarsi con le scene teatrali, portando sul palco e nelle interpretazioni dei copioni, un suo personale bagaglio di cultura e professionalità dato da una laurea, da studi di danza e di canto.
Lei è attrice teatrale e Teatro, etimologicamente, deriva dal greco theatron con doppio significato: guardare o essere spettatore! Sul palco, quando lo sguardo incontra decine di volti sconosciuti, si sente più attrice che sarà valutata per la sua performance o spettatrice che valuta la sensibilità e le emozioni suscitate nel suo pubblico?
“Io mi sento sia attrice che spettatrice: quale attrice la prova che affronto recitando di fronte al mio pubblico mi mette sempre ansia, agitazione, ma questa tensione, questa adrenalina è sana e, a noi attori, fornisce una forte carica nell’interpretare i vari personaggi quindi, si mi immedesimo nell’attrice che deve essere valutata ma, nel contempo, essendo io una insegnante di recitazione, lavoro che amo fare e che mi permette di insegnare a “ragazzi dai quattro ai novantanove anni”, mi sento anche spettatrice che deve sedersi e godersi lo spettacolo.
Avere l’esperienza di insegnare e quindi essere spettatrice è forse, anche questa, una carta vincente che mi consente di leggere le emozioni del mio pubblico e capire se sono riuscita ad abbattere quella “quarta parete” che è tra il pubblico e l’attore”.
Potrebbe spiegarci cosa vuol dire essere “figli d’arte”, quali sono i pesi da sopportare e le difficoltà da superare ma, nel contempo, il “quid” in più dato dall’aver da sempre respirato e vissuto quella cultura teatrale genitoriale che altri non potranno mai interiorizzare perché non propria?
“Essere figlia d’arte è un’arma a doppio taglio: sicuramente è un onore essere “la figlia di….” ma, contestualmente, è un macigno, perché su chi è figlio di genitori importanti sono rivolte aspettative che ti costringono a lottare per essere almeno a livello dei tuoi genitori; questo ti impone dei grandissimi sacrifici, di studio e di impegno, rispetto a quello che fa una persona normale.
Io ho fatto diciassette anni di danza, mi sono diplomata con Annabella Cerliani, il braccio destro di Gigi Proietti, ho fatto canto, ho avuto esperienze di film, di cinema, mi sono laureata, perché c’è sempre quella sensazione di dover dimostrare qualcosa.
Ancora oggi continuo a studiare ed imparare, sicuramente per me stessa, per la mia famiglia, per essere d’esempio a mio figlio ed ai miei allievi che incito ad impegnarsi ed a studiare, e come posso pretendere che mi ascoltino se non sono io stessa d’esempio?
E’ quindi un onore essere figlia d’arte, il vivere, sin da piccola, immersa in una realtà che ti permette di capire determinati meccanismi di un “mondo” nel quale, in tanti, avranno difficoltà ad entrare.
Le nuove generazioni guardano sempre meno la televisione colta ed il cinema d’autore, rivolgendo il loro interesse a reality e serie televisive, come valuta, in questo contesto, la situazione del teatro?
“Sembra che la situazione stia un po’ cambiando, in effetti con i reality si era avuta l’idea che bastasse partecipare ad una delle tante trasmissioni del genere per potere poi avere accesso al mondo del cinema, delle fiction e qualsiasi altra cosa, portando la categoria dell’attore ad essere sempre più bistrattata, poiché sembrava stesse prevalendo l’idea che fosse inutile studiare per formarsi a tale lavoro.
Il teatro però è diverso: è emozione, è partecipazione, è contatto diretto con il pubblico.
A teatro non ti trovi “dietro una cinepresa”, che ti consente di girare nuovamente una scena, che permette il trucco o il ritocco cinematografico; all’attore di teatro non è permesso l’errore, ci vuole studio e preparazione.
Analizzando approfonditamente possiamo affermare che l’attore di teatro è bravo anche a cinema, non è detto sia vero il viceversa, e ciò perché noi attori di teatro abbiamo una formazione diversa.
Spero che la categoria teatrale cresca ancora e ponga fine all’idea che chi partecipa ai reality possa diventare un grande attore, questo perché vorrebbe dire che tutti gli studi fatti e l’impegno profuso non servono a niente, a volte è avvilente!”
Non le ho rivolto volutamente domande sul suo ultimo spettacolo, su questa o quella interpretazione; ho cercato di portare in risalto l’attrice teatrale“a tutto tondo”, non l’interprete di una singola opera. Vorrei che scegliesse lei la rappresentazione teatrale o il personaggio più gratificante dal punto di vista professionale.
“Devo dire che i personaggi interpretati sono stati tutti gratificanti, ogni interpretazione, da Alice a Dorothy, da Pinocchio ad Anna Cappelli alla Lupa mi hanno dato soddisfazione, poiché vi è uno studio diverso per ogni personaggio da interpretare.
Devo però dire che il personaggio che mi ha fatto andare un po’ oltre è quello dello spettacolo “Festa di Montevergine”: il personaggio che ho interpretato è molto “sopra le righe”, molto comico, questa interpretazione mi ha permesso di toccate “corde” di comicità e di ritmo che non pensavo di avere. Devo anche dire che con “Anna Cappelli” ho fatto uno spettacolo da sola, un monologo di quarantacinque minuti che mi ha molto soddisfatta”.