Oggi s’invoca il santo protettore di tutti gli animali e del fuoco
Il 17 gennaio segna nel calendario popolare il principio del Carnevale e si festeggerà sul colle di Giovi dinanzi alla chiesa di S.Bartolomeo
Olga Chieffi
“Sant’Antuono, maschere e suone, teccate ‘u vecchio e damme ‘u nuovo. Ronammello tantu forte Pe’ quando è forte ‘u stante r’ ‘a porta. Si no te scasso ‘a capo ‘e morte”. E’ questa l’invocazione più nota che si rivolge a S.Antonio Abate, che nel salernitano, viene distinto da S.Antonio di Padova, chiamandolo Sant’Antuono. La strofetta deriva dall’uso dei bambini che, perdendo il dentino da latte, e nascondendolo in un posto segreto, onde evitare che ricrescesse male, invocavano il santo. Questo uso di nascondere i denti da latte è antichissima e si vuole che esso sia un’offerta alla Madre Terra o agli dei ipogeici. Infatti, in questa giornata le anime del Purgatorio, dopo essere state onorate nei Presepi, sin dal 6 gennaio, ritornano negli Inferi, poiché ormai la luce sulla Terra è tornata. Antonio era nato a Eracleopoli, nel Medio Egitto, abbandonando il mondo intorno al 270. Dopo quindici anni, essendo in età di circa trentacinque anni, attraversò il Nilo, portandosi in un castello sulla riva sinistra del fiume, dove stette per altri vent’anni. Colà gli si unirono i primi discepoli. Uscito dalla sua solitudine per un breve periodo, si ritirò, poi, definitivamente nel deserto, presso il Mar Rosso, dove un monastero porta ancora il suo nome, ed ivi trascorse gli ultimi anni della sua esistenza, più che centenaria, morendo verso il 356. Le reliquie di Sant’Antonio sarebbero state ritrovate nel 561 e portate ad Alessandria, quindi, a Costantinopoli e finalmente nel secolo XI in Francia, dove, durante l’epidemia di peste (fuoco sacro) molte persone sarebbero state guarite miracolosamente dalle reliquie o dall’intervento stesso del santo. Da questo evento miracoloso il nome all’ herpes zoster di fuoco di S.Antonio. S. Antuono segna nel calendario popolare il principio del Carnevale, ovvero di quel periodo rituale, circoscritto nel tempo, durante il quale si forma una comunità metastorica a carattere provvisorio, che vive un aspetto di ribellione alla propria condizione sociale, riflettendo aspetti rituali arcaici, legati nel passato a rituali agricoli di propiziazione del raccolto e di eliminazione del male. Uno di questi ultimi aspetti è, certamente, la richiesta di benedizione di ogni proprietario di animali al taumaturgo. Nella iconografia, Sant’Antuono, infatti, viene sempre raffigurato tra tutti gli animali, particolarmente con a fianco un porcello e a distanza, una fiamma. In Salerno, associando la presenza del maiale accosto al santo, si dice :” S’è ‘nnammurato d’’o porco”. Nella nostra città, Sant’Antuono si venera nella chiesetta di Santa Rita al Largo, oggi, San Pietro a Corte, tradizionalmente detto di Sant’Antuono, innanzi al vecchio municipio, chiamato Palazzo Sant’Antuono. Nella stessa piazzetta, ogni anno si procedeva alla benedizione degli animali. Oggi, anche altre chiese sono disponibili ad accogliere i nostri amici: le benedizioni verranno inaugurate sul sagrato di S.Domenico alle ore 16, 30 per quindi passare alle 17,30, nella storica Chiesa di Santa Rita e Sant’Antuono, e nella zona Orientale, dal Volto Santo in Via Roccococchia e del Gesù Redentore, alle ore 17, in Santa Maria della Consolazione, alle ore 18,30, in contemporanea col parroco Don Sabatino Naddeo, nella chiesa di Santa Margherita di Pastena, per chiudersi a Giovi, nella chiesetta di campagna di S.Bartolomeo, alle ore 19, accorsata da ogni razza di animali, dai cani, agli asini, ai cavalli, alle oche, in una magica festa della natura. S.Antuono è ritenuto anche il patrono del fuoco. Pare che egli sia disceso all’Inferno, dal quale ha tratto un po’ di fuoco di nascosto del diavolo, novello Prometeo, per cui, in questa notte, in sua venerazione si accendono grossi falò. Il materiale si va raccogliendo un po’ dappertutto, e questa notte l’appuntamento è proprio a Giovi dove ci attenderà una lunga notte con i Vampalori, con spari di mortaretti e suoni per annunciare l’accensione dei falò nei rioni collinari, per proseguire alle ore 18 con il raduno a Piegolelle davanti alle scuole elementari per la fiaccolata e l’ascesa al colle, ove in San Bartolomeo il Parroco Don Salvatore Aprile, celebrerà la messa solenne. Alle ore 20, tutti gli animali sul sacrato per la benedizione e l’affidamento al Santo, per poi dar fuoco alla vampa attorno al quale si danzerà intrecciando tarantelle e per essere fedeli all’antica tradizione campana, gustando le specialità castellane, il vino le salsicce e le patate sotto la cenere. In Campania, infatti, e specie nel salernitano, ricorre in particolare il verso dell’asino e il nitrito del cavallo, animali dei quali, proprio in questi giorni, si apre la stagione di monta. Il cavallo è largamente mimato nelle danze di Sant’Antuono, poiché è un animale che fin dall’antichità è simbolo di molte divinità, riferentesi alla donna anche se in modo ermafroditico. Si ricorderà che nel ventre di un cavallo si nascosero i guerrieri greci che poi, incendiarono Troia. E, in questo caso entrarono nella pancia di questo animale per esserne quasi partoriti. Ma, senza voler risalire ai miti, e riferendoci alla realtà contadina, il cavallo viene montato e posseduto come una donna, pur tuttavia, resta un animale che può facilmente “possedere”, per cui rappresenta l’estasi. L’ambivalenza data a tale bestia viene giustificata dal fatto che facilmente il cavallo può imbizzarrirsi e, quindi, far perdere il controllo a chi lo cavalca. In questo senso, il cavaliere da possessore diventa posseduto e il cavallo da posseduto a possessore. Per non parlare delle implicazioni di significato sessuale trasferite al cavallo e a chi lo cavalca; l’uomo possiede la donna (la “puledra dai piedi veloci” Euripide), ma ne può facilmente perdere il controllo ed essere trascinato follemente verso il baratro (paura di perdere l’identità mediante l’atto sessuale con la donna, paure, castrazione, ecc.), così, come uno stallone farebbe tutto soltanto per la sua amazzone, ecco perché è la donna che nel ballo si esprime evocando il cavallo. Durante la consumazione della “vampa”, nessuno potrà attingere brace dal fuoco. Alla fine, quando il fuoco non emetterà più grosse fiamme, si prenderanno le braci con ogni mezzo, lunghe pale, pertiche di ferro e si riempiranno recipienti di ogni specie per poter per scaldarsi, nei giorni successivi, come carbonella, oltre che, naturalmente per devozione.