
di Vito Pinto
In una piccola aula di Via Porta Catena, che già fu cappella visitata dai Cavalieri Templari in transito per Salerno, è la sede salernitana del FAI, il Fondo Ambiente Italia, che da qualche tempo apre i suoi spazi a giovani artisti. E il 12 prossimo (inizio ore 18) sarà la volta di Gianluca Tesauro e Maria Betteghella impegnati in una installazione ceramica e in un elitario libro sospeso in un immaginario fantastico. “Rotte immaginate di nuovi sogni” è, infatti, il titolo delle opere ceramiche messe in mostra e del libro che sarà presentato il 28 febbraio giorno di chiusura dell’esposizione. Racconto. Si chiama “Chiari di Luna” quella caravella che si avventura in un viaggio di sogno (o nel sogno di un viaggio?), il cui “Diario di Bordo” (racconto e poesie) è stato diligentemente redatto da Maria Betteghella, avvalendosi dei disegni di Gianluca Tesauro, sì che tutto diventi leggibile e godibile per la elegante grafica. Non solo, ma questo onirico viaggio in un cosmo calmo come le azzurre acque del mare, diventa ceramica, si trasforma (o è a supporto?) in una installazione di oggetti (sfere, piastre) a fondo blu su cui si ritrovano segni, disegni, parole, tutto in graffito. Un’armonia di sensi che lasciano pensare ad un resoconto di bottega, o a un suo completamento letterario. Forse è la prima soluzione, visto che, come si legge nella doverosa gerenza, è stato scritto: «Questo lavoro nasce a Morra De Sanctis, in Alta Irpinia, nei giorni di neve e tempesta del gennaio 2025». E in quel luogo innevato, a quanto è dato sapere, è nato il letterato Francesco De Santis, ma non esistono fornaci per la ceramica. Il viaggio, si scoprirà, prende avvio nella calma del porto di Amalfi, e non poteva essere diversamente: per antica tradizione la località costiera salernitana è stata la prima Repubblica Marinara. Inizia così la lettura del “Diario di Bordo”: «Il vascello è a mezz’aria, siamo pronti a salpare. Salire a bordo sarà complicato, non è stato possibile allestire i pontili mobili. Nel piano di imbarco non avevo previsto l’arrivo della Tramontana, quindi ho ripiegato su un sistema di funi e tiraggi sorretto dallo stormo di uccelli migratori delle prime luci dell’alba. Ieri ho interpellato le costellazioni: si sono dimostrate favorevoli, quindi ho deciso di fissare la data della partenza a domani. Salperemo durante il passaggio mattutino degli aironi sul faro di Capo d’orso». A bordo vi è l’Ammiraglio, introdotto ai problemi della Astronomia sferica da suo zio, che era Capitano di Vascello, e l’estensore del Diario in regolare possesso di patente astro-nautica senza limiti di leghe. Non sembrano esserci altri personaggi, ma ci sono dei pavoni reali con i quali omaggiare eventuali governanti di mondi altri che si potranno incontrare in questo immaginifico viaggio. Viene annotato nel Diario: «La speranza occupava eccessivamente il posto del goniometro e delle carte astronautiche senza possibilità di negoziazione». Unico passeggero con diritto di permanenza a bordo e ben accetto dal responsabile legale della spedizione è la sola “curiosità” giacché ha saputo trovare un posto discreto sul ponte senza interferire con le complesse operazioni di bordo, contribuendo altresì a rendere più gioiosi i preparativi. Incuriosisce quella narrazione forse immaginata, intriga il luogo ancora non ben chiaro sul quale il vascello si muove: mare infinito o spazio interstellare? «Chiari di Luna naviga nel limpido azzurro ormai da giorni, ad una velocità che non avrei immaginato possibile prima di salpare. Ciò che mi sorprende è la facilità con cui il vascello solca l’aria e l’acqua, prima l’una e poi l’altra, senza scossoni di sorta». Una navigazione tranquilla, ma sia l’ammiraglio che il legale rappresentante non sanno quale è, in quel momento, la loro posizione. La curiosità cede il passo, timidamente, all’insicurezza, allo smarrimento. La mente vaga alla ricerca di qualche riferimento. In quell’infinito spazio (o mare) ritornano soltanto i versi di Leopardi: “Così tra questa immensità / s’annega il pensier mio: / e il naufragar m’è dolce in questo mare”. Si naviga a vista, non vi sono fari, né profili di coste, non una stella conosciuta: il Carro minore con la Polare, Andromeda la costellazione, i vari segni zodiacali sono scomparsi o appartengono a sistemi stellari non visibile dalla caravella. Quasi a voler esorcizzare il momento di smarrimento, si ammaina la bandiera-simbolo della spedizione: l’Ammiraglio suona la sua tromba storica, il legale rappresentante provvede alla bandiera. Poi tutto viene riposto in una custodia. Una lettura sempre più intrigante questo viaggio in un mare cosmico, alla ricerca di un mondo nuovo, di una civiltà altrui, di un’oasi dove poter sostare a fare il punto della situazione. Una lettura che diventa, a mano a mano, una meditazione su parole chiavi che aprono ad una lettura nuova, intima. E sorge la domanda se tutto è vero o tutto immaginato. Si dirà: c’è l’installazione ceramica a far fede di quanto narrato: certo. Ma se anche quelle opere ceramiche con segni e disegni graffiti, con parole oltre ogni immediata comprensione, fossero anch’esse un viaggio nel sogno? Ecco l’astronomia sferica, la capsula sottomarina da usare nella ricerca spaziale, le polveri illuminanti per orientare la rotta nei passaggi oscuri, le ancora galleggianti per la sosta in rada presso galassie di interesse. La navicella cala nel blu (marino?) ma in totale assenza di gravità e per diversi minuti. Mare e cielo si confondono, intorno è la sola esistenza dell’immensità. E ancora “l’ascesa a testa in giù” della navicella che si inabissa in galassie astro-marine. Parte l’ammiraglio con la sua capsula sottomarina costruita da suo nonno per le immersioni mesopelagiche, una decisione alla quale il legale rappresentante non può opporsi. «L’immersione è avvenuta in una totale assenza di gravità, e per diversi minuti il sommergibile ha fluttuato a mezz’aria in corrispondenza delle vele. Poi d’improvviso la navicella ha spiccato il volo come fosse una mongolfiera, e alla fine è scomparsa dalla mia vista, risucchiata da un’immensità carica di misteri». Vola, o naviga, il vascello verso lidi sconosciuti, incontrano, i due riuniti nauti, un popolo di gente senza occhi. Riporta il Diario: «Non incrociai lo sguardo di nessun mortale, perché quegli esseri non possedevano il dono della vista». La comunicazione è “alla cieca” attraverso suoni, o sensazioni di suoni, con una mente in sintonia di onde. «Un occhio / senza volto / passava più in là, / avvisava qualcuno: / son qua». Percezioni di sogno per un desiderio di uscire fuori dalla realtà, in spazi incontaminati dove il quotidiano resta fuori dalle debolezze o qualcosa di non spiegabile vissuto come in una sorta di purificazione dello spirito? Annota il legale rappresentante: «Quando i suoni diventarono più armoniosi, capii che mi stavo avvicinando alle creature. Man a mano, il volume dei gemiti diminuì fino a trasformarsi in un bisbiglio. Quando i sussurri svanirono e l’ambiente si ammutolì, seppi di trovarmi tra loro». Poco prima della fine dell’avventura una inattesa confessione in corsivo, quasi a voler mettere bene in evidenza ciò che veniva scritto; annota l’autrice del testo: «Non son certa che ciò che segue coincide a verità: l’ho vissuto ad occhi chiusi, il mio resoconto non può prescindere da questa oggettività. Eppur mi chiedo, posto che si viva ad occhi aperti, può qualcuno affermare con certezza che ogni ricordo è fedele alla realtà?»