
di Erika Noschese
Aria di rivoluzione, ma non in termini positivi, per il comparto della medicina generale. Il ministro della Salute Orazio Schillaci e le Regioni stanno pianificando una trasformazione radicale per i medici di famiglia: potrebbero essere assunti come dipendenti nelle nuove Case di comunità finanziate dal Pnrr. Oltre 1350 strutture apriranno entro metà 2026 con un investimento di 2 miliardi di euro. I medici attuali potranno scegliere se rimanere liberi professionisti o diventare dipendenti, con l’obbligo di lavorare un certo numero di ore per l’Asl nelle Case di comunità, in base al numero di assistiti. Questa di cui si discute, e non poco, è soltanto una bozza della riforma che il governo centrale vorrebbe attuare. E i medici di medicina generale proprio non ci stanno. Da Salerno, la Federazione Italiana Medici di Medicina Generale – nella persona del segretario generale provinciale di Salerno, Elio Giusto – ha fatto partire una missiva rivolta a tutti i sindaci della provincia, finalizzata a spiegare le motivazioni che rendono quantomeno irricevibile questa bozza di riforma del sistema di gestione dei medici di medicina generale. Sin dall’inizio della missiva il segretario Giusto intende “esprimere la forte preoccupazione della nostra categoria in merito al futuro della Medicina Generale in Italia e al rischio di compromettere uno dei pilastri fondamentali del nostro Servizio Sanitario”. “Abbiamo appreso sgomenti dalla stampa – si legge nella missiva – che è in corso un preoccupante dibattito sul passaggio del Medico di famiglia alla dipendenza, fortemente voluto da alcune Regioni e all’attenzione del Ministero della Salute. Tale ipotesi, se fosse portata a termine, rischierebbe di introdurre profondi cambiamenti che andrebbero a svantaggio di tutta la popolazione, in particolare delle persone anziane e più fragili. Il passaggio alla dipendenza dei Medici di famiglia, infatti, rischia di compromettere da un lato il rapporto di fiducia su cui si fonda il nostro rapporto di cura con l’assistito, dall’altro la capillarità della nostra presenza sul territorio. Lo scenario metterebbe in discussione la sopravvivenza dei nostri studi e favorirebbe il licenziamento del nostro personale di studio con il quale quotidianamente molti di noi gestiscono centinaia di richieste legate ai vostri bisogni di salute”. “È reale la possibilità – incalza il segretario generale provinciale – che a seguito di un cambiamento di questo genere si arrivi ad un sistema che, nella depersonalizzazione del nostro ruolo, orienti e vincoli, in maniera esclusiva all’interno delle Case di Comunità, il lavoro del Medico di famiglia, costringendo il paziente a consegnare le chiavi della propria salute non più al proprio Medico di fiducia, ma al Medico di turno in servizio, in una struttura distante dal proprio centro abitato, evento che rappresenta un rischio reale per l’accesso alle cure, la continuità assistenziale il supporto umano di cui i cittadini hanno diritto. Ciò deriva dalla falsa narrazione delle Regioni di un presunto rifiuto della categoria di poter svolgere la propria attività nelle Case di Comunità come previsto dal DM/77”. La questione riguarda in particolare la gestione delle case di comunità rispetto a una drastica modifica che si andrebbe a verificare sulle attività lavorative del medico di medicina generale: “Molti di noi, in diverse realtà regionali, esercitano già all’interno delle Case della Salute o delle prime Case di Comunità e il nuovo contratto dei Medici di Famiglia, siglato ad aprile 2024, prevede già che possa essere svolta una quota di ore al loro interno in base al numero di assistiti in carico. Dobbiamo però constatare che ad oggi, non sono ancora stati applicati dalle Regioni gli accordi regionali sottoscritti e molte Regioni risultano inadempienti per la mancata stesura degli accordi regionali che recepirebbero la nuova disciplina contrattuale nazionale. Il modello attuale, basato sulla convenzione che prevede la libera scelta del cittadino e l’autonoma organizzazione del Medico di famiglia, libero professionista convenzionato, garantisce prossimità, continuità e personalizzazione delle cure, rendendo possibile un legame di fiducia fondamentale per la gestione delle patologie acute e croniche. Trasformare questa figura in un operatore dipendente, inserito in strutture lontane dai centri periferici, rischia di tradursi in un impoverimento dell’offerta garantita attualmente dal Servizio Sanitario, soprattutto nelle aree rurali e meno servite”. “In un Paese di 7904 Comuni, popolato da quasi 60.000 Studi di Medicina Generale, come può l’assistenza concentrarsi in 1350 Case della Comunità? A pagarne le conseguenze sarebbero soprattutto nostri assistiti. A pagarne la spesa più cara sarebbero soprattutto le fasce sociali deboli, i fragili, gli ultimi – commenta il segretario Giusto –. Se la dipendenza è la soluzione della politica alla necessità della riorganizzazione della medicina del territorio, la stessa politica non deve aver capito che alla suddetta necessità abbiamo dato risposta esaustiva nell’ Accordo Collettivo Nazionale della nostra categoria che ci vede pronti a garantire ruoli e compiti della nostra professione al servizio della comunità, anche nelle Case di Comunità”. “Per queste ragioni – conclude Giusto – vogliamo con forza tutelare l’autonomia professionale dei Medici di famiglia preservando il rapporto fiduciario con propri pazienti e garantendo l’accessibilità capillare alle cure. Come amministratore locale sono certo che condividerà le nostre stesse preoccupazioni soprattutto in relazione alla prossimità e capillarità dell’assistenza che oggi, pur in una situazione di grave carenza di personale, il Medico di Medicina Generale garantisce anche nelle aree più difficili e disperse”.