Gli appassionati sanno che, nella storia della musica jazz, la presenza di violinisti è molto limitata e può essere circoscritta sostanzialmente a due nomi, Joe Venuti e Stephane Grappelli. Questo fino a quando, sulla scena, non ha fatto irruzione la statunitense Regina Carter, che ha inciso numerosi cd con icone quali Wynton Marsalis e Kenny Barron. Ma la Carter è nota anche per aver registrato il disco “Paganini: after a dream”, dove eseguiva brani tratti dal repertorio classico, addirittura con il “Cannone”, ovvero il Guarneri del Gesù del 1743, appartenuto a Niccolò Paganini e gelosamente custodito dal comune di Genova. Un’artista, quindi, che ha sempre manifestato una elevata dose di eclettismo. La Carter, si presenterà questa sera, alle ore 21,25, al pubblico del Ravello Festival in quintetto con Will Holshouser alla fisarmonica, Marvin Sewell alla chitarra, Chris Lightcap al basso e Alvester Garnett alle percussioni, per onorare il tema di questa edizione “Sud” con un’esplorazione delle sonorità folk del Southern Comfort, suo ultimo lavoro discografico. Regina Carter spazierà dalla musica classica al jazz alla world music, combinando una tecnica mozzafiato con un innovativo e “ribelle” approccio allo strumento: nelle mani della Carter il violino mostrerà non soltanto il suo lato melodico, bensì anche tutte le sue possibilità percussionistiche. Il concerto sarà un viaggio alla scoperta delle sue radici familiari in cui, contemporaneamente, riporta alla luce l’humus musicale americano: il nonno lavorava nelle miniere di carbone dell’Alabama, ed ecco che rintoccano qua e là i canti di quei minatori. Dai Monti Appalachi echeggia il melting pot che a quei tempi vedeva intrecciarsi le vicende e le culture di scozzesi e irlandesi, schiavi e nativi americani. La curiosità e la passione che Regina Carter infonde nella musica sono supportate da una costante ricerca di bellezza e perfezione. Ne consegue uno stile versatile e trasversale che spazia dalla classica allo swing, dal jazz al funk. Per quanto riguarda l’approfondimento tecnico dello strumento, ci troviamo di fronte ad un talento assoluto, capace di ottenere dal violino qualsiasi tipo di sonorità, il che rappresenta un pregio enorme e, allo stesso tempo, paradossalmente, un problema di non poco conto per una personalità artisticamente irrequieta come la sua. In effetti, cambiare continuamente genere è certamente sinonimo di grande versatilità, ma alla fine ciò potrebbe risultare oltremodo dispersivo, contribuendo a rendere di difficile collocazione una musica che, di contaminazione in contaminazione, rischia di smarrire un qualsiasi tipo di identità. La caratteristica più evidente di tanti jazzisti di oggi è l’eclettismo di stili e modelli, senza preoccuparsi troppo di essere coerenti o originali. Riconosceremo nei virtuosismi della nostra Regina Carter, enciclopedica violinista di Detroit, diversi stili di violinisti del passato quali Stephane Grappelli, Stuff Smith, Eddie South o il primo Jean-Luc Ponty, swingando con imperturbabile disinvoltura sui ritmi più vari, dal bop all’afrocubano, dal reggae al samba, un concerto questo, per chi ha la memoria corta e ha sentito parlare solo vagamente di maestri, tra cui non dimentichiamo Ray Nance, che hanno creato un modo di suonare che prima non c’era quale il violino-jazz. Ma la Carter è nata e arrivata dopo, crescendo nella musica più ibrida e contaminata possibile. Un segno dei tempi, che le ha donato un’ampiezza di vedute e prospettive che la ha incoronata regina del violino.
Olga Chieffi