di Erika Noschese
Un piastrellista, un benzinaio, i radicali, gli avvocati. È ampio e variegato il comitato per il sì al referendum, costituito dagli avvocati Silverio Sica, Cecchino Cacciatori e da altri esponenti della società civile e del mondo della giustizia. Ieri la presentazione, presso la Provincia, per illustrare le motivazioni alla base del sostegno alla riforma sulla separazione delle carriere dei magistrati. Ad aprire il dibattito è stato l’avvocato Silverio Sica che, fin da subito, ha chiarito la sua posizione: «La giustizia in Italia è un mondo chiuso, non trasparente, ignoto alla maggioranza dei cittadini. Si tratta di un sistema antichissimo che, nonostante la più importante riforma del secolo scorso, è rimasto arroccato su sé stesso, subendo nel tempo gravi contraccolpi», ha dichiarato il legale, evidenziando come «il sistema giudiziario si fondi, per tutta una serie di ragioni, su quello che definisco un potere assoluto». Per il noto avvocato salernitano «la definizione di riforma della separazione delle carriere è impropria: la separazione delle carriere trova la sua ragion d’essere nelle esigenze del popolo italiano, che vive quotidianamente il dramma dell’investigazione». Per Sica è dunque arrivato il momento di «rompere gli equilibri politici interni alla categoria attraverso una figura dirompente, capace di scardinare questo sistema. Occorre lavorare per convincere le persone ad andare a votare e il sentimento del sì può essere veicolato anche tra quelle fasce meno vicine al mondo giudiziario». Parla invece di «riforma popolare di civiltà» l’avvocato Cecchino Cacciatore che, in un opuscolo, ha messo nero su bianco dieci ragioni per dire sì: un decalogo dell’Unione Camere Penali e dell’Organismo congressuale forense. «Come avvocati e operatori del diritto abbiamo il dovere di far comprendere che le riforme si valutano per ciò che sono e non per chi le propone. Questa è una chiamata dei cittadini a una responsabilità civile e professionale alla quale non possiamo sottrarci», ha aggiunto Cacciatore, annunciando che è possibile aderire al comitato per il sì anche online. Tra le novità, la nascita di un coordinamento cittadino tra i diversi comitati a sostegno delle ragioni del sì. Tra i promotori vi è anche l’avvocato Giovanni Falci, che ha spiegato come la separazione delle carriere sia già prevista in alcune norme, seppur in maniera indiretta. «C’è una norma del codice di procedura penale che stabilisce il dovere di astensione del giudice quando è commensale abituale di una parte processuale. Vassalli aveva studiato un sistema perfetto, nel quale la distinzione tra la fase delle indagini e quella del dibattimento era nettamente separata, perché ciò che accade nelle indagini, come ricordava Vassalli, non vale nel processo», ha dichiarato Falci. Il legale ha quindi ricordato che tale impianto è stato successivamente stravolto da una sentenza della Corte costituzionale, che ha dichiarato l’incostituzionalità dell’articolo 500 del codice di procedura penale. «La ragione principale per votare sì è che i fautori del no non sono contrari alla separazione delle carriere, ma votano contro per la questione del Consiglio superiore della magistratura, che oggi è un vero e proprio nominificio», ha aggiunto l’avvocato Falci. A sostenere il comitato popolare per il sì al referendum è anche l’avvocato Emiliano Torre, che ha evidenziato come la riforma riporti al centro del dibattito politico una questione fondamentale: l’ingiustizia nel processo penale. «Si tratta di un’ingiustizia palese che incide direttamente sui soggetti coinvolti nel processo. Questo referendum intende valorizzare un momento di lotta importante, fondato sul principio secondo cui il magistrato deve essere terzo e realmente al di sopra delle parti», ha affermato Torre. «Oggi ciò non avviene perché, nel corso del tempo, si è costituito un movimento politico-ideologico», ha concluso. E dunque l’appello alla società civile a recarsi al voto per contrastare l’astensionismo.





