Quando l’inferno d’acqua fece «malanotte» a Salerno - Le Cronache
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Quando l’inferno d’acqua fece «malanotte» a Salerno

di C.P.

La “malanotte di Salerno”, come la definì Alfonso Gatto nella dolente cronaca della tragedia che colpì la sua città, la “notte del giudizio”, come la chiamò Aldo Falivena allora giovane cronista de’ “Il Giornale” , che ebbe per protagonista la morte che “camminava per le strade bussando a tutte le porte, spalancando le finestre, chiamando con ululati e zampate di vento le vittime”, causò 316 morti, circa 350 feriti, diecimila senza tetto e oltre 40 miliardi di danni. La notte fra il 25 e il 26 ottobre 1954 una tremenda calamità si abbattè sulla nostra provincia, un evento straordinario dal punto di vista meteorologico: in poche ore si registrarono piogge per circa 504mm, quando mediamente in un anno ne cadono circa 1000mm, che seminarono distruzione e morte. Le montagne, spogliate dagli alberi, franarono sugli abitati sottostanti; contemporaneamente fiumi e torrenti magrissimi (Fusandola, Rafastia, Bonea, Reginna Maior e Reginna Minor), ingrossati a dismisura dalla pioggia e dalla fanchiglia, strariparono travolgendo ogni cosa. Quell’immane catastrofe accumunò in uno stesso tragico destino Salerno (nella parte occidentale), Molina e Marina di Vietri, Cava dei Tirreni, Tramonti, Minori e Maiori. Fu un disastro le cui proporzioni furono senza precedenti nella storia della nostra città, che cambiò il profilo della Costiera Amalfitana, trasformando borghi di operosità e bellezza in paesi di morte e distruzione. Quella notte ci furono anche molti atti di eroismo. Come quelli dell’agente di P.S. Andrea Santaniello e di fra Generoso, che si adoperò con strenua abnegazione per accorre dovunque fosse maggiormente necessario portare un aiuto, salvare una vita umana, soccorre e confortare un ferito. Raccontano che quando la vita tornò alla normalità e tanta gente andò a ringraziarlo, rispondeva che lui non aveva fatto niente, che bisognava invece ringraziare il buon Dio. Nel rione Olivieri venne giù un intero costone della montagna che travolse palazzo Mazzariello, palazzo Caiafa e Bassi. Nel buio si sentivano pianti e invocazioni di aiuto. Il ponte della ferrovia era crollato. Via Ligea era stata cancellata da alberi, macigni, pietre rubate agli edifici. La spiaggia, letteralmente sfigurata dalle frane cadute dalle colline circostanti e da monte San Liberatore, era disseminata di morti. Gli stabilimenti balneari erano stati risucchiati a mare. Nello specchio antistante i pescherecci, in una gara generosa, ma disperata, erravano per trarre a riva le misere vittime che galleggiavano sulle acque torbide. Anche il paesaggio urbano era sconvolto. La Villa Comunale e il Lungomare erano irriconoscibili sotto una spessa coltre di melma. Alcune macchine erano affondate fino ai parabrezza. Le sirene dei vigili del fuoco, quelle delle autoambulanze, della polizia, dei carabinieri risuonavano incessantemente in un via vai continuo. La chiesa di Sant’Anna in San Lorenzo era diventata un accampamento di fortuna. I frati si adoperavano per alleviare le sofferenze degli scampati, li rifocillavano distribuendo cibo, bevande, indumenti, coperte, medicinali. I ragazzi dell’Orfanatrofio Umberto I avevano donato agli alluvionati le loro coperte e lenzuola. La chiesa di San Gaetano, che aveva fatto da diga, era crollata e tutte le case allineate sulle sponde furono risucchiate dall’acqua. Interi edifici furono cancellati dal fiume di fango; famiglie intere distrutte. Con la mano si riusciva quasi a toccare le lancette dell’orologio del campanile dell’Annunziata, ferme all’1 e 52. Il portale centrale della chiesa aveva ceduto e la melma era arrivata alle nicchie dei santi lungo le pareti laterali e coperto quasi del tutto il bellissimo altare barocco. Molti arredi sacri galleggiavano sull’acqua nella sagrestia. Si scavava tra le macerie ancora polverose con ogni mezzo, anche a mani nude, in una gara di solidarietà. In un silenzio struggente, una folla attonita seguiva le operazioni di recupero. I feriti e i morti venivano sistemati in un locale del Teatro Verdi. “L’alluvione di Salerno è stata una delle calamità più gravi della storia europea. La natura aveva potuto infierire sugli uomini anche perché gli uomini non avevano saputo difendersi con una lungimirante politica del territorio. Firmato Alfonso Menna