di Aldo Primicerio
Non c’è dubbio. Si legge ovunque che è sempre l’ombra del (grande e mai dimenticato) Silvio ad aleggiare sui pensieri di Nordio e del governo Meloni. Il buon Carlo continua nell’evidente rimescolio dei suoi ricordi, le sue autocritiche, e di quella che ai suoi ex-colleghi appare ogni giorno di più come una rappresaglia contro le toghe. Ognuno di noi si legga quello che lui dice e fa scrivere ai media. E’uno stillicidio quotidiano di piccole vendette: “Nessuno scandalo”, “Torneremo a discuterne”, “Pm da frenare”, “Separare le carriere”, “Ridurre le intercettazioni”. E ora psichiatrizzarli…. Il “toro scatenato” come lo chiama Flick, è un fuoco d’artificio. Ma con pochi scoppi e tanti flop. Perché lui, il ministro, non si legge le carte, non bada ai numeri. E’ disinformato.
I numeri del ministero, sulle spese e sulle richieste di cambiare carriera, che smentiscono lo stesso ministro Nordio ed il governo
Prendiamo le intercettazioni. Lo abbiamo già scritto, ma è utile rifarlo. L’analisi dello stesso Ministero rivela che dal 2007 in poifino ad oggi la spesa del dicastero è progressivamente diminuita, passando all’1,57% dell’anno 2007, all’1,42% dell’anno 2008, all’1,40% del 2009, all’1,36% del 2010, all’1,35% del 2011, all’1,37% del 2012, all’1,33% del 2013, all’1,28% del 2014, all’1,27% dell’anno 2015. Dagli anni successivi tale percentuale è tornata a risalire, per poi riscendere, passando all’1,28% nel 2016, all’1,31% nel 2017, all’1,32% nel 2018, all’1,35% nel 2019, all’1,34% nel 2020, all’1,16% nel 2021, all’1,25% nel 2022. Allora, caro ministro, vuole decidersi a leggerli i numeri del suo ministero? E poi siamo andati a spulciare le spese degli altri Ministeri in percentuale sul bilancio dello Stato. Vediamoli in ordine decrescente: Economia e Finanze 58,1%, Lavoro 19,9, Infrastrutture 12, Istruzione 6,2, Interno 3,8, Difesa 3,2, Università e Ricerca 1,6. Sviluppo economico 1,5, Giustizia ultima con l’1,2%. Ed allora caro sig. Carlo, dov’è questa barbarie, questo Medioevo, come lo chiama lei? Forse nella testa di qualcuno?
E poi la separazione delle carriere. In un monitoraggio dell’ANM dal 2015 al 2016 trasmesso ai governi di allora, la richiesta di cambiare carriera, da quella giudicante alla inquirente, ha interessato solo lo 0,83 % degli inquirenti e lo 0,21 % dei giudicanti, sicché le funzioni possono ritenersi, nella sostanza, separate. Quindi la separazione delle carriere è un’impostura immotivata, una sua fissa caro Nordio, di questo governo ma anche di altri precedenti, in particolare i quattro governi Berlusconi che ne fecero una patologia psicotica senza senso.
Magistrati da psicanalizzare prima di avviarli alla carriera. I diversi livelli di indipendenza. I diversi modelli di intervento degli Stati
E ora i test psichiatrici. Si giura, per valutare l’attitudine dei magistrati ad una professione così delicata e che attribuisce poteri immensi. Ne scriviamo più avanti. L’equilbrio del giudice è un leit motiv che ricorre da sempre, nei discorsi sui fattori che ne devono garantire l’indipendenza, la terzietà. Un problema dalle molte sfaccettature. Perché esistono diversi assetti – istituzionali, giuridici e operativi – che in teoria sono volti a garantire l’indipendenza della magistratura. Che possono funzionare in modo diverso a seconda del contesto storico, politico, giuridico e sociale in cui opera la magistratura. E che possono variare da un Paese all’altro. Quindi ogni Paese deve trovare il proprio equilibrio. L’indipendenza del magistrato ha diversi livelli. Quella esterna è la sua indipendenza dai rami politici (potere esecutivo e legislativo). Quella interna è volta a tutelare i singoli giudici da indebite pressioni provenienti dall’interno, ad es. da altri giudici e, soprattutto, da giudici di alto rango. Poi c’è quella istituzionale, per proteggerli da pressioni ed influenze indebite. Ed infine c’è l’indipendenza individuale, cioè quella del loro stato d’animo e di condotta concreta, che dipende, tra l’altro, dalla loro socializzazione professionale e dal modo in cui hanno interiorizzato i valori professionali. Per concretizzarne l’indipendenza gli Stati adottano modelli diversi. Ed intervengono sulla nomina e promozione, sui consigli giudiziari regionali, sui termini del mandato, sull’autonomia finanziaria. E qui una mia idea personale. Pur essendo l’ultima, come abbiamo visto, tra le amministrazioni che gravano sulle finanze pubbliche, io mi chiedo: perché il ministero della giustizia non si sgancia dallo Stato e non si decide ad incassare gli indennizzi le spese giudiziarie che non riesce a recuperare. Si legge che dal 2012 al 2019 sono 7 i miliardi di euro in indennizzi e spese giudiziarie che l’amministrazione giudiziaria non è riuscita ad incassare. Liberarsi dal pensiero di chi dà i soldi sarebbe il primo requisito di indipendenza e di serenità.
Per l’Unità ad un test attitudinale i giudici tutti bocciati! Quindi in Italia 10mila dementi! Per gli psicanalisti analizzarli è impossibile
Ma dicevamo dei test attitudinali ai giudici. Il giornale l’Unità scrive che, se si facessero, tutte le toghe sarebbero bocciate, e che i dubbi sull’equilibrio psichico sono ragionevolissimi. Quindi, a seguire questo giornale, è chi decide di candidarsi a fare il magistrato che in partenza, ab origine, è un “disturbato mentale”. Chi li capisce è bravo. A questo punto llora i test facciamolti a tutti: cominciando dai politici, e finendo con i giornalisti. Ne vedremmo delle belle. E poi, attenzione, ai direttiinteressati, gli psiacanalisti. Dicono che fare i test ai giudici è impossibile. Lo scrive su Il Fatto il medico psiacanalista Luciano Casolan. Lui dice che sarebbe una sottile soddisfazione poter valutare da un punto di vista psicologico i giudici. Come categoria ispirano un certo timore reverenziale, e quindi metterli in posizione di essere a loro volta investigati sarebbe quantomeno stimolante. Ma, avverte, il colloquio clinico psicologico non è una scienza esatta per cui risente parecchio di chi sia l’esaminatore, dei suoi convincimenti e della sua scuola di formazione. Si porrebbe il problema di chi giudica o sceglie gli psicologi/psichiatri che devono valutare i giudici? L’investigazione psicologica, inoltre, richiede come elemento essenziale la fiducia di colui che si reca al colloquio. Se viene a mancare, crolla quasi tutta la possibilità dello psicologo di comprendere la persona che ha di fronte. I test standardizzati hanno dei limiti. Giudici con una cultura elevata, aiutati da persone che conoscono bene i test, riuscirebbero di certo a capire come indirizzarli. Lui ritiene che non sia possibile organizzare una valutazione attendibile dello stato psicologico di una categoria come quella dei giudici. In aggiunta, sostiene anche che un giudice affetto da un disturbo psichiatrico di tipo ansioso o depressivo possa essere comunque e sempre un buon giudice. Addirittura soffrire di questi disturbi affinerebbe la sua capacità di comprensione degli altri e potrebbe essere un elemento utile al suo difficile lavoro.
Come concludere? Che si assiste ad un fenomeno di espropriazione del ruolo di garanzia e di terzietà del giudice. Il rischio è l’alterazione permanente del rapporto tra autorità e libertà da una parte ed i valori che legittimano il sistema penale dall’altra, con l’obiettivo finale di limitare ab alto il “presunto arbitrio” del potere punitivo. Insomma, un problema di una complessità senza fine.