Tre serate emozionali per “Come va a pezzi il tempo” di Alessandra Crocco ed Alessandro Miele, ospiti della Stagione Mutaverso, che avrebbe dovuto raddoppiare le performances per poter accogliere tutte le richieste del pubblico
Di GEMMA CRISCUOLI
Dove raccontare l’ostinazione della memoria, senza la quale nulla ha senso e peso? In una casa di odori e colori testardamente vivi, che possano ricondurre lo spettatore a stagioni proprie e altrui ormai lontane. Tra un grammofono, una vecchia radio, un giradischi, tavoli severi e lampade calde va in scena qualcosa che non si rassegna a morire. “Come va a pezzi il tempo” è la performance proposta da Progetto Demoni a turni di cinque spettatori alla volta in un’abitazione privata di Salerno, nell’ambito di Mutaverso, il percorso teatrale diretto da Vincenzo Albano. Sulle orme di Francis Scott Fitzgerald, si assiste a quella che potrebbe sembrare la più ordinaria delle vicende, ma l’inquietudine si annida nei gesti e negli sguardi. Dalla gioia iniziale all’incapacità di riconoscersi, è la donna che invita a osservare da una stanza all’altra un rapporto che si sfalda (Alessandra Crocco, così intensa che si ha la sensazione che i suoi occhi siano ovunque, anche quando è “fuori campo”), rivivendo il tormentato legame con uno scrittore in cui, la mancanza di ispirazione, diviene afasia emotiva (Alessandro Miele, interprete generoso come pochi). Lei è lo slancio vitale, che tra sfuriate e tenera attesa non teme di ricominciare, di sottrarsi a una dimora che è un luogo della mente, il solido ancorarsi al vissuto; lui è immobile in una storia che non prevede personaggi diversi e si lascia consumare da una crudele amarezza fino al congedo definitivo. Non ci si sottrae alla lenta tortura del tempo, al suo tornare all’infinito su se stesso che trasforma la cenere in bisogno di rifiorire. La donna ha in sé la vita di chi ha molto sperato e amato e la morte di chi non è sopravvissuta ai propri sogni. Il libro ingiallito lasciato sul letto e il telefono staccato dimostrano che ormai la casa è un reliquiario di sensazioni perdute. I ricordi però fanno strani scherzi. Scompaiono, eppure eccoli lì, a sbarrare il cammino o ad aprire nuove strade. Lei spegne le luci (non c’è più nulla da proteggere), ma siede alla scrivania dove l’amante ha tentato inutilmente di creare e dunque di vivere. Sarà forse lei a scrivere un diverso epilogo. Dove tutto si conclude, si può ricominciare, anche se “è tutto più buio/è tutto più scuro/è tutto più notte”.