Prof Rega: diagnosi DSA in aumento - Le Cronache Attualità
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Prof Rega: diagnosi DSA in aumento

Prof Rega: diagnosi DSA in aumento

di Erika Noschese

 

 

L’aumento delle diagnosi di Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) in Campania è un fenomeno complesso che riflette tendenze sia nazionali che regionali. Negli ultimi anni, si è assistito a un notevole aumento delle certificazioni di Dsa nelle scuole italiane. Questo incremento riguarda tutte le tipologie di Dsa: dislessia, disgrafia, disortografia e discalculia. I fattori determinanti sono principalmente tre. Anzitutto, maggiore consapevolezza: una più diffusa conoscenza dei DSA tra insegnanti, genitori e professionisti sanitari ha portato a una migliore identificazione dei casi. Altro dato importante riguarda l’evoluzione dei criteri diagnostici: sono diventati più precisi e inclusivi. Infine, il migliore accesso ai servizi: una maggiore disponibilità di opportunità di diagnosi e trattamento facilita l’individuazione dei Dsa. Anche in Campania si registra un aumento delle diagnosi di Dsa, sebbene le percentuali possano variare rispetto alla media nazionale. Nel mezzogiorno, in generale, le percentuali di diagnosi sono più basse, e la Campania si attesta su una percentuale di circa 1,8%. Ne abbiamo parlato con il dottor Angelo Rega, professore associato di psicologia dello sviluppo presso il Dipartimento di psicologia e scienze della salute dell’Unipegaso.

Aumentano i disturbi o aumenta la capacità di diagnosi?

«Anzitutto, il dato percentuale dell’incidenza dei Dsa in Italia è sensibilmente alto. Prendiamo come stima il post-pandemico: parliamo di 7-8% di alunni con Dsa. Dobbiamo riconoscere che il numero di Dsa è alto in assoluto: parliamo, quindi, di un disturbo che ha la sua incidenza ed è effettivamente importante nella popolazione scolastica nazionale».

Tanti docenti lamentano un “eccesso” di certificazioni.

«Dobbiamo considerare che tutte le equipe che rilasciano certificazioni per i Dsa, in regione Campania, hanno ricevuto un accreditamento dalle Asl di appartenenza e hanno dovuto rispettare una serie di criteri. Sia dal punto di vista dei protocolli diagnostici, perché la Regione ti chiede che tu debba rispettare requisiti e protocolli. E poi, oltre al logopedista e allo psicologo c’è anche un neuropsichiatra. Andare, quindi, a diagnosticare un Dsa, che si trascina per l’intera carriera scolastica, e farlo in maniera non adeguata, mette in seria difficoltà i professionisti che lo hanno poi certificato. Questo mette a rischio l’equipe di perdere l’accreditamento».

La polemica nasce a causa delle tempistiche di rilascio dei certificati, molto spesso “in ritardo” rispetto all’avvio delle attività scolastiche.

«È pur vero che possono arrivar e in ritardo, a febbraio o marzo, ma dobbiamo considerare diversi elementi. Ho pubblicato recentemente un articolo scientifico su questo, che riguardava la perdita di possibilità di apprendimento su alunni che hanno imparato a scrivere e leggere in tempi di pandemia. Esempio: si presuppone che io insegnante abbia notato le difficoltà di questi bambini, in seconda o terza elementare, tornando in presenza. La maestra nota le difficoltà del caso e il genitore, di rimando, nota le medesime difficoltà, che si pensa siano dovute al fatto che il bambino ha imparato a leggere e scrivere in periodo di pandemia. In questi casi, docenti e genitori non hanno la sensibilità di capire che si tratta di un Dsa: pensano che si sia accumulata una difficoltà dovuta all’emergenza pandemica. Per forza di cose, quando nasce il sospetto nei genitori o nei docenti o nei professionisti, il bambino è già in terza o quarta elementare. Questa esplosione di diagnosi è dovuta proprio agli effetti della mancata diagnosi quando era il momento giusto, perché tutti abbiamo pensato fosse un effetto della teledidattica».

Qual è il nesso tra pandemia e aumento dei Dsa?

«Il metodo che utilizziamo in Italia, per insegnare ai bambini a leggere e scrivere, non è progettato per essere utilizzato in teledidattica. Guarda caso, infatti, la polemica s’innalza proprio in questo momento, cioè quando sono passati tre anni scolastici da quando è scoppiata la pandemia. Mi ritrovo perfettamente, quindi, che l’incremento di diagnosi sia dovuto proprio a diagnosi tardive».

Alcuni hanno ipotizzato che troppe certificazioni nascondano, per la legge dei grandi numeri, diagnosi “fasulle” finalizzate solo a facilitare il percorso scolastico o, addirittura, a scongiurare bocciature.

«Non partirei col dire, polemicamente, che queste certificazioni siano fasulle. Falsificare un test diagnostico è una cosa gravissima, che metterebbe a rischio da un punto di vista deontologici sia

medici, sia psicologi sia logopedisti».

Perché succede oggi?

«Succede nel tempo giusto per tutto quel parterre di alunni che hanno studiato in dad e hanno imparato a leggere e a scrivere in dad. Emerge anche dai dati, raccolti in una scuola della provincia di Napoli, che attestano che c’è stato un learning loss. Poi è naturale, come in tutte le circostanze, che ci possa essere qualcuno che abusa da un punto di vista tecnico di questi strumenti diagnostici, ma faccio fatica a pensare che i genitori vogliano etichettare in questo modo i propri figli per evitare un giudizio negativo o mediocre, senza pensare che se lo porti per tutta la vita dietro. Farei ragionamento più in quest’ottica qui».

Come si può intervenire? Cosa è mancato finora?

«Naturalmente dobbiamo agire in ottica di compliance, verso gli insegnanti: se un genitore porta il figlio a fare una diagnosi presso un’equipe specializzata, molto spesso è anche sostenuto dall’insegnante che chiede al genitore di fare uno screening. La maggior parte delle segnalazioni per Dsa, infatti, arriva soprattutto da parte dei docenti che accendono un campanello d’allarme. Due sono i principi, quando la diagnosi arriva in modo tardivo: o l’insegnante non ha fatto la segnalazione in tempo, o non si è resa conto che c’era o non c’era un eventuale Dsa».