Pillole per una nuova storia Letteraria 050 di Federico Sanguineti - Le Cronache
Editoriale

Pillole per una nuova storia Letteraria 050 di Federico Sanguineti

Pillole per una nuova storia Letteraria 050 di Federico Sanguineti

                                 Dante nostro datore di lavoro

 

Di Federico Sanguineti

 

Nulla di più paradossale di un’ecdotica del capolavoro dantesco: per un verso, non resta traccia, com’altrui piacque, di autografo; per l’altro, un censimento che fa tremar le vene e i polsi. Facendo parte per sé, oppure in due che insieme vanno, o in “compagna picciola”, filologhe e filologi, fra l’un lito e l’altro in reciproco disaccordo si muovono, per l’alto mare aperto di una tradizione sconfinata, verso il Paradiso terrestre di “edizione critica” che (considerata da Contini “ipotesi di lavoro”) si presenta, alla luce di tali circostanze, anziché dilettoso monte, montagna bruna per la distanza: noi ci allegrammo ‒ ammonirebbe il Poeta ‒, e tosto tornò in pianto. Si ha in effetti l’impressione, noi vecchi e tardi, di precipitare al folle volo. Da un lato, la perdita di manoscritti vergati dall’Autore ‒ e insieme di ogni eventuale idiografo ‒ è scoglio non trascurabile (come risolvere la vexata quaestio della veste linguistica?); dall’altro, entrati nell’alto passo, la sovrapproduzione offerta dal testimoniale ‒ almeno 580 codici pressoché completi, ma più di 800 a tener conto di oltre 200 frammenti di poche o pochissime carte ‒ è ostacolo di dimensioni tali da scoraggiare, per non dire vanificare, la messa in atto di qualsiasi “ipotesi” per quanto “economica” possa apparire, al punto che corre onestamente l’obbligo, a conclusione del primo centenario della nascita di Giorgio Petrocchi ‒ coincidente con i 700 anni dalla morte del Poeta ‒, di prendere atto, remisse et humiliter,che il “testo-base” offerto nell’Edizione Nazionale della Commedia secondo l’antica vulgata (1966-1967) non solo è punto di riferimento indispensabile, ma, a voler essere obiettivi, rappresenta il più glorioso porto finora raggiunto, rispetto al quale ogni ulteriore tentativo (benché offra talora una riflessione per il restauro di singoli luoghi) non può che considerarsi, nell’insieme, un fallimento: in ordine cronologico, ciò vale sia per il “nuovo testo critico secondo i più antichi manoscritti fiorentini” curato da Antonio Lanza (1995), che per l’edizione pubblicata per la Fondazione Ezio Franceschini e il Fondo Gianfranco Contini nella collana “Archivio Romanzo” (2001); ma vale altresì sia per la “revisione testuale” di Giorgio Inglese (2016) che per l’Edizione Nazionale del 2021, giacché in entrambe si bypassa la recensio, ormai ineludibile, dell’intera tradizione. Per quanto riguarda invece l’editio “secondo i testi settentrionali” prospettata da Paolo Trovato, analoga all’uccello che muore e poi rinasce, è affidata a una prima (2007), quindi una seconda (2013) e infine una terza serie di “nuove prospettive” (2020), esibendo a puntate stemmata differenti fra loro, ma pur sempre poggianti a priori sull’araba fenice di un presunto “subarchetipo γ”, in realtà, a conti fatti, mera contaminatio di “α” e “β”. Converrà dunque tener altro viaggio: ripartire, una volta per tutte, dal “testo-base”, ma rammemorando che nel disegno del compianto Petrocchi era programmato, in tre tomi, uno per cantica, un quinto volume: Apparato dei codici recenziori. Senza dimenticare le indagini di ordine codicologico, paleografico e filologico che, dal centenario del 1965 a quello del 2021, via via han visto la luce ‒ per esempio quelle di Gabriella Pomaro, Marisa Boschi Rotiroti ed Elisabetta Tonello ‒, anzi in virtù soprattutto di quest’ultime, e con l’auspicio che ulteriori collazioni perfezionino sempre più la conoscenza della tradizione, non resta che rimettersi all’opera, “sanza la qual chi sua vita consuma…”, con quel che segue.