Su stilnobbismo e storia letteraria
Di Federico Sanguineti
Non c’è nulla di più istruttivo di un confronto fra differenti storie letterarie, giacché le categorie su cui poggia la storiografia mutano continuamente, e ciò che oggi a scuola o all’università pare ovvio, ieri non lo era affatto (e difficilmente, si presume, lo sarà domani). Se si legge la Storia della letteratura italiana (1772-1782) di Tiraboschi, si scopre che la dolcezza stilistica non evoca affatto il cosiddetto “dolce stil novo”, ma l’encomio funebre scritto da Petrarca per Barbato da Sulmona, definito dolce per lo stile (“stilo dulcis”) in una delle Senili (libro terzo, epistola quattro): “Grande è l’elogio che ivi ne fa Petrarca, dicendo che uom più dolce, più incorrotto, più schietto, più amante dello studio non era mai stato al mondo; che le lettere erano l’unico piacer di Barbato, uomo nemico della gloria, della ostentazion, della invidia, di vivace ingegno, di dolce stile, di ampia dottrina e di vasta memoria”. Così afferma l’erudito settecentesco, non ignorando tuttavia che Bonagiunta da Lucca è “da Dante veduto nel Purgatorio punito insiem co’ golosi”; anzi, in riferimento al canto XXIV, egli precisa: “Essi poi vengono a’ complimenti, e Buonagiunta confessa che Dante nel poetare il superava di troppo”; ma, quanto a “dolce stil novo”, non se ne fa la benché minima menzione. Un secolo dopo, nella sua Storia della letteratura italiana (1870), De Sanctis ne dà invece per scontata l’esistenza: “Di questo dolce stil novo il precursore fu Guinicelli, il fabbro fu Cino, il poeta fu Cavalcanti”. Chi legga il verso 57 di Purgatorio XXIV in una qualsiasi edizione critica, ha modo di vedere che ogni copista riporta il testo a modo suo. Villani legge: “di qua dal dolce stilo novo ch’io odo”; altri: “di qua dal dolce stil novo ch’i’ odo”; “di qua dal dolce sole il novo chiodo”; “di qua dal dolce stile il novo chiodo”; “di qua dal dolce stile il nuovo ch’io odo”, ecc. Nell’edizione pubblicata per la Fondazione Ezio Franceschini nel 2001, mettendo una volta per tutte il dito nella piaga, si è avviata un’inchiesta su come quel verso debba o non debba leggersi. Ma, anche ammesso che Dante (di cui non si ha neppure un autografo) abbia scritto “dolce stil novo”, occorre dire che la categorizzazione di De Sanctis è puramente ideologica, esprimendo l’esigenza di una storia letteraria di gusto romantico-borghese, dove poeti diversi fra loro (e spesso fra loro in contrasto) finiscono col coesistere pacificamente sotto un’unica etichetta. Nasce pertanto, venendo al XX secolo, attestata a partire dal 1942, come informa il Dizionario Etimologico della Lingua Italiana di Cortelazzo e Zolli, la parola “stilnovismo” (“modo di poetare caratteristico degli stilnovisti”). Infine, volendo dare uno sguardo ai postillatori del Poema, nessuno ha mai parlato di “stilnovismo” prima del 1960, data del commento di Mattalia che, bontà sua, lo individua nel canto di Francesca da Rimini, il quinto dell’Inferno. Lo segue Bosco che, in collaborazione con Reggio, nel commento del 1979 scopre lo “stilnovismo” all’interno del secondo canto del Purgatorio ed “echi di un rinnovato stilnovismo” nella figura di Matelda. A loro volta, Pasquini e Quaglio, nel 1982, scorgono in Bonagiunta Orbicciani “certi presentimenti dello stilnovismo”. E, volendo, si potrebbe continuare. Ma è difficile dar torto a Rosaria Lo Russo (lettrice-performer, poetrice, saggista), quando, l’11 maggio 2003, al convegno “Il Gruppo 63 quarant’anni dopo”, ironizzando sulla cultura (maschile) del nostro tempo, finalmente inveiva, con adeguato neologismo, “contro lo stilnobbismo letterario”.