Successo per Vincenzo Bolognese che ha chiuso la prima parte della stagione lirico concertistica del Teatro Verdi di Salerno
Di LUCA GAETA
La letteratura violinistica tutta tesa all’estremo virtuosismo ha da sempre interessato compositori, quasi sempre violinisti, di ogni epoca. Fra i primi, Giuseppe Tartini, Pietro Antonio Locatelli, Gian Battista Viotti, Pierre Rode. Poi la legenda, l’uomo capace di ispirare intere pagine di aneddoti: romanzati, inverosimili, contesi fra la più sconcertante finzione e la più assurda realtà. Niccolò Paganini. Se la sua vita, costellata da imprese assurde, ci lascia il beneficio del dubbio, il suo testamento musicale, costituito da un nutrito catalogo, continuamente aggiornato, rappresenta la vera novità nell’evoluzione tecnica del violino. Un mondo, allora, in pieno fermento. Se da un lato Amati, Gagliano, Guadagnini, Guarneri, Stradivari, del violino ne ridefinivano le misure, ridisegnandone le forma, Paganini ne riformava l’intera tecnica. Pietra miliare in tal senso è senz’altro l’opera prima, i 24 capricci. In essi sono presenti tutte le evoluzioni tecniche messe in campo da quest’autore: picchettati, ricochet, ottave, decime e pizzicati con la mano sinistra. Già presenti nelle opere di alcuni suoi predecessori, ma che in lui raggiungono vette altissime di virtuosismo scatenato. A cimentarsi nella titanica impresa dell’esecuzione dell’intero corpus dei 24 capricci di Paganini, per il secondo appuntamento concertistico della stagione 2016 in programma presso il Teatro Municipale “G. Verdi” di Salerno, il violinista Vincenzo Bolognese. Il violinista ci offre un’esecuzione dei capricci di grande musicalità. Dotato di una robusta tecnica d’arco, che si manifesta da subito nel capriccio n.1, incentrato sulla rapida successione di arpeggi da eseguirsi in uno staccato – legato dall’effetto volante, per poi passare al n.2, tutto eseguito rigorosamente al tallone, al n.5, proposto con l’arcata originale ideata dal compositore, senza trascurare mai il discorso musicale. Infatti, particolarmente belle sono state le intenzioni musicali che l’esecutore ha proposto per il capriccio n.9, “la caccia”, tutto giocato sull’alternarsi dei due registri, acuto e grave, intese con dinamiche opposte, tese ad evocare, come espressamente indicato da Paganini, i flauti ed i corni e per il capriccio n.13 “la risata”, dai portamenti eleganti e dai cromatismi impervi. Nonostante l’acustica del Teatro sia parsa abbastanza secca, gli accordi sono risultati sonori ed il suono ben proiettato verso la sala, grazie anche all’alta qualità dello strumento, un meraviglioso “Mattia Albani” della fine del Seicento. Se da un lato il pubblico non eccessivamente numeroso pone l’accento su quanto ancora c’è da costruire in termini di “cultura dell’ascolto”, dall’altro è stato estremamente piacevole vedere la platea costituita perlopiù da giovani. Al termine dell’apprezzatissima esecuzione, Bolognese ha concesso diversi bis. Il primo, una trascrizione a cura di Ruggero Ricci del brano scritto per chitarra da Francisco Tarrega, Recuerdos de la Alhambra, in cui il violino imita l’effetto del tremolo della chitarra ed un secondo, che ha rappresentato il momento più alto dell’intero concerto, ossia la Sarabanda dalla Seconda Partita per Violino solo di Johann Sebastian Bach, dove Bolognese ha ritrovato la dimensione più cameristica ed intima del suo suono, dal vibrato largo e dalle sonorità distese.