di Pina Ferro
Omicidio di Ciro d’Onofrio: i giudici della Suprema Corte dichiarano inammissibile il ricorso presentato dai legali di Eugenio Siniscalchi il 29enne di San Mango Piemonte condannato a 30 anni di carcere. Siniscalchi si era rivolto agli ermellini a seguito della pronuncia della sentenza dei giudici della Corte di Appello del Tribunale di Salerno i quali avevano confermato la condanna a trenta anni di reclusione a carico dell’imputato ritenuto responsabile dell’omicidio di Ciro d’Onofrio Siniscalchi in primo grado aveva scelto di essere processato con il rito dell’abbreviato e per questo aveva beneficiato di uno sconti di un terzo della pena. I giudici della Suprema corte hanno anche stabilito che Siniscalchi dovrà farsi carico delle spese legali sostenute dalle parti civili: Immacolata D’Onofrio, sorella di Ciro, difesa dall’avvocato Antonio Cammarota, la moglie e i figli della vittima difesi dall’avvocato Antonietta Cennamò difende la moglie e figli del defunto, la madre di D’Onofrio, Lucia Caserta e la sorella Valentina difese da Domenico Fasano. Era il 30 luglio del 2019, circa 2 anni dopo l’omicidio, quando ad Eugenio Siniscalchi fu notificata l’ordinanza di custodia cautelare in quanto ritenuto l’autore del delitto avvenuto a Pastena. L’ordinanza gli fu notificata in carcere dove era recluso per altri fatti. A suo carico vi era l’accusa di omicidio volontario aggravato da premeditazione in concorso (anche il fratello minore di Siniscalchi sarebbe coinvolto nel fatto di sangue e per il quale procede il tribunale per i minori), detenzione e porto illegale di una pistola calibro 9. Ad uccidere Ciro D’Onofrio fu il proiettile che si conficcò tra polmoni e cuore determinando delle lesioni molto gravi, un secondo proiettile attraversò la scapola e il terzo la coscia Eugenio Siniscalchi e il fratello minore, sottolinearono gli investigatori all’epoca dell’arresto di Siniscalchi, giunsero sulla scena del crimine a bordo di un ciclomotore di grosse dimensioni e armati di pistola. Dopo aver sparato contro D’Onofrio esplosero i colpi di arma da fuoco e poi si diedero alla fuga. L’omicidio, secondo la Procura , viene commesso in quel luogo, perchè è un posto estremamente familiare a Siniscalchi e nel quale avrebbe goduto e potuto giovarsi di una serie di “tutele”, di garanzie, dell’omertà delle persone che lo frequentavano, qualora fosse stato individuato. Le indagini, sull’esecuzione di Ciro D’Onofrio, furono affidate alla Squadra mobile di Salerno. Grazie ad intercettazione acquisite da altre inchieste dei carabinieri, è stato possibile accertare accertare come il 28enne, all’ora del delitto, si trovasse proprio in via John Fitzgerald Kennedy, zona Est di Salerno. Attraverso un’accurata analisi della scena del crimine, rilievi tecnici, sequestri dei mezzi e comparazione di reperti, acquisizione di immagini delle telecamere di videosorveglianza, analisi dei tabulati telefonici e intercettazioni e dalle dichiarazioni di persone informate dei fatti, fu possibile per gli inquirenti ricostruire quanto avvenuto quella sera. La vittima fu “convocata” sul luogo del delitto, tre minuti prima dell’esecuzione dello stesso. L’ultimo contatto telefonico che D’Onofrio ha prima di essere ucciso è con una utenza che risulta nella disponibilità di Eugenio Siniscalchi: era il telefono che utilizzava per lo spaccio di stupefacenti. Quel telefono, poi, verrà buttato. Furono le indagini sull’omicidio D’Onofrio, a portare alla luce la fiorente attività di spaccio ed i metodi intimidatori posti in atto dalla famiglia Siniscalchi. A seguito della morte di D’Onofrio furono poste in essere una serie di attività nei confronti di alcuni soggetti sospettati di essere i killer di Pastena. Si trattava di soggetti collegati a D’Onofrio che era sia assuntore che spacciatore di droga. E, proprio per tale motivo le indagini si sono mosse nell’ambito della contrapposizione violenta tra soggetti coinvolti nell’attività di spaccio al fine di conquistare la gestione delle varie piazze di spaccio presenti a Salerno.