Ilaria Patassini e Geoff Westley firmano il progetto musicale pensato per la kermesse dedicata alla Nouvelle Vague realizzata da Tempi Moderni. Sugli scudi l’orchestra Filarmonica Salernitana che protagonista di ben tre progetti dell’arrangiatore inglese, da De Andrè a Claudio Baglioni
di Olga Chieffi
La parte più sfuggente della realizzazione della colonna sonora è quella che viene dopo la composizione. I compositori di musica da film danno varie spiegazioni di come trovano l’ispirazione che spaziano dall’improvviso lampo di intuizione al diligente artigianato. Georges Delerue descrive la propria in un modo completamente diverso: “In effetti bisogna sforzarsi, concentrarsi come fa un atleta. E’ allora che vengono le idee”. E’ proprio a Delarue, compositore di tante e celebri colonne sonore di pellicole della Nouvelle Vague, che è stato dedicato il concerto che ha messo in musica l’essenza della mostra con cui l’Associazione Tempi Moderni, di Marco Russo, ha inteso porre l’obiettivo su quel periodo rivoluzionario del cinema francese. Se la prima parte della serata è stata focalizzata sulle partiture del compositore francese essenziali nella composizione audiovisiva orchestrata dal regista, non è un caso che il celebre tema “Catherine e Jim”, che emerge durante la successione di pianisequenza della passeggiata notturna durante la quale i due si confessano a vicenda, rechi con sé un languore tristemente malinconico, passando attraverso ritardi e ostinati, il buffo e l’elegiaco, nella seconda parte si sono esplorate anche gli echi dell’epoca e dei luoghi attraverso un florilegio delle più amate chansons francesi, affidate alla voce di Ilaria Patassini e alla fisarmonica a piano di Salvatore Cauteruccio. Le canzoni evocate hanno il classico stilema da chanson, non lontane da quelle dei trovatori, racconti costruito da immagini che completano pian piano il disegno finale. Così noi ci siamo ritrovati nel quartiere dei café e degli artisti di strada, sulla collina che va verso il Sacre Coeur, nel XVIII arrondissement. Siamo stati lì non per caso, ma solo perché accompagnati con fare gentile e a tratti nostalgico, in chanson che sono più dramma che ballata, in una sorta di lamento irresistibile. Siamo così diventati spettatori di quella Parigi che ci attrae come un caldo dramma. Siamo entrati ne’ “La cafeteria” con il mantice di Salvatore Cauteruccio ricordando la pathica interpretazione di “Le tourbillon”, canzone di sortita della Patassini, che si è cimentata, poi, in un grande classico quale “Sous le ciel de Paris”, omaggiando anche la Piaf con quel vibrato particolare sugli acuti. Alternanza per l’intera serata di brani strumentali come la Terre Promise da Julie e Jim, con il solo di clarinetto, La Mèpris, l’Adagio affidato al violino di Giancosimo Smaldone, lo splendido minuetto affidato ai legni, stavolta dominato dalla doppia ancia del primo oboe Antonio Rufo, suono antico ed evocativo per una delle pagine epiche di Cartouche, “Au revoir Mon amour”. Abbiamo applaudito le interpretazioni del soprano in particolare negli interventi senza microfono, apprezzandone la voce morbida, ricca di armonici, come in La Bohème e Mon amant de Saint Jean, in duo con la fisarmonica, bis quest’ultimo di un repertorio cantato che ha avuto la sua gemma in Avec le temps, “Col tempo” che è divenuto uno standard. Applausi per tutti e gran finale con La Marseillaise che Ricardo Muti ne attribuisce altresì la paternità a Giovanni Battista Viotti, in quanto sarebbero state riprese dal suo Tema e variazioni in do maggiore. Un gran finale per questa stagione da parte di Geoff Westley, che abbiamo ritrovato ieri mattina all’inaugurazione della mostra a Palazzo Fruscione e con il quale abbiamo avuto il piacere di avere qualche conferma sulle good vibrations pervenute all’orecchio in sala, grazie ai suoi arrangiamenti semplici e volti ad esaltare la melodia. “La mia fonte di ispirazione è l’orchestra e, naturalmente ascolto di tutto e guardo ai grandi classici – ha rivelato Geoff Westley – Sono prima di tutto un flautista e mi sono ritrovato a suonare in formazione. In primo luogo per comporre un arrangiamento che funzioni bisogna rispettare i suoni di ogni strumento, quindi conoscerli. Non credo ai compositori che non abbiano mai suonato uno strumento in assieme, possano riuscire a cogliere l’essenza di una pagina originale e trasformarla, né credo ai suoni campionati che, i pur ottimi programmi musicali offrono. Il suono live è tutt’altro. Bisogna evitare di mettere in difficoltà gli strumentisti, ricercare il suono che si ha in mente per quel brano. Mi ritengo fortunato a poter dirigere questa splendida orchestra che conta bei legni, la prima viola Luca Improta (del massimo partenopeo n.d.r.) dal suono umano e il primo violoncello, poiché so come desidero venga interpretata la mia scrittura musicale e spero poter continuare questa collaborazione con l’orchestra del vostro teatro Verdi”.