
di Erika Noschese
“Disposizioni per la prevenzione delle discriminazioni e la tutela dei diritti delle persone che sono state affette da malattie oncologiche”. Con questa legge, la 193, l’Italia si è allineata ad altri otto Paesi europei, tra cui Francia, Belgio, Portogallo, Paesi Bassi e Romania circa la delicata questione dell’oblio oncologico, vale a dirsi il diritto di non fornire informazioni e di non subire indagini riguardo le pregresse patologie oncologiche da cui si risulta totalmente guariti. Il convegno, tenutosi presso il centro “Europa Experience – David Sassoli” di Roma, ha visto la partecipazione di un folto numero di relatori che, sul piano politico prima e tecnico poi, hanno cooperato alla realizzazione di una legge che restituisce dignità e prospettiva futura a chi ha avuto la possibilità di vincere una battaglia tutt’altro che semplice rispetto alle patologie oncologiche. Ad aprire le danze è stato il ministro della salute, Orazio Schillaci, che non stenta a nascondere l’orgoglio per il risultato raggiunto: “L’Italia ha compiuto un passo, lasciatemi dire, storico con l’approvazione della legge sull’oblio oncologico. Questa norma riconosce il diritto, per chi ha superato la malattia, di non essere penalizzato nella gestione della propria vita in momenti importanti che, a volte, qualcuno dimentica. Pensate richiedere un mutuo, un’assicurazione, un’opportunità di lavoro o la possibilità di adottare un bambino. La legge è stata voluta con forza e con il consenso di tutto l’arco parlamentare, afferma con decisione un messaggio culturale e sociale fondamentale: una malattia non può e non deve definire una persona per sempre. Da questo punto, la normativa è una vera conquista di civiltà. Unendo le forze, possiamo costruire un futuro in cui la parola oblio possa significare davvero speranza, rinascita, per tutti coloro che hanno affrontato la battaglia contro il cancro”. Segue l’onorevole Maria Elena Boschi, di Italia Viva, relatrice della legge insieme all’onorevole Marrocco proprio a testimonianza della volontà di tutte le parti politiche, di maggioranza e di opposizione, di raggiungere quanto prima questo risultato: “Credo che questa legge abbia intanto un merito: è una delle poche leggi che è stata approvata su iniziativa parlamentare: è stata approvata in tempi rapidi considerato l’iter ordinario della legge con sistema bicamerale, con un voto quasi all’unanimità ma trasversale. C’è un presupposto fondamentale: dopo 5 o 10 anni dalla fine del trattamento, chi non ha avuto recidive è, per la scienza, completamente guarito. Cioè, ha le stesse probabilità di ammalarsi di chi una malattia oncologica non l’ha mai avuta. Ci siamo anche differenziati su un aspetto: abbiamo previsto flessibilità nei tempi di applicazione dell’oblio, poiché il periodo di 5 o 10 anni può essere ridotto per alcune neoplasie attraverso decreti ministeriali, in modo quindi più flessibile e rapido rispetto alla legge ordinaria e in base ai progressi della scienza. Per alcune neoplasie si parla di 1 anno o due. Questo è particolarmente importante perché già oggi più di un milione di italiani può considerarsi guarito a tutti gli effetti”. A seguire l’intervento dell’onorevole Pino Bicchielli, vicepresidente del gruppo Noi Moderati alla Camera dei Deputati: “Prima dell’approvazione della legge sull’oblio oncologico, quello che la medicina aveva estirpato rimaneva, invece, vivo nel rapporto con la società, configurandosi a tutti gli effetti come discriminazione sociale. Di fatto, poi, in contrasto con quanto prevede la Costituzione. Il certificato di guarigione, che sarà man mano sempre più agevolmente superato, resterà necessario per i casi di adozione. Sul tema si scontrano due diritti molto rilevanti: il diritto all’oblio di chi ha avuto la malattia ed è guarito e il diritto a una famiglia con caratteristiche di stabilità dei bambini che diventano futuri adottati. Il percorso non finisce qui: ora è fondamentale che tutti i pazienti debbano essere messi a conoscenza dei propri diritti. Dalla fase normativa si deve passare a quella della sensibilizzazione”. A prendere la parola è stato poi il professor Giovanni Sciancalepore, dell’Università degli Studi di Salerno: “Il diritto all’oblio ha una molteplicità di declinazioni: laddove occorre considerare che, se noi dicessimo che il diritto all’oblio è uguale alla riservatezza, daremmo luogo all’effetto che verrebbe qualificato anamorfico. Cioè, faremmo una sorta di distorsione, nella misura in cui identificandolo così non riusciremmo a vedere nello sfondo l’oblio in cosa consiste. La strada quale può essere: il bilanciamento degli interessi, costituzionalmente rilevanti. Ma abbiamo un comune crocevia: da un lato c’è l’esigenza chiara, indiscutibile, di tutela individuale; dall’altro lato simmetrica e naturale visione pubblicistica dell’informazione. Entra in gioco il diritto di cronaca, contrapposto all’aspirazione della tutela alla riservatezza. E occorre, evidentemente, circoscrivere temporalmente la portata conoscitiva della notizia pubblicata. Sullo sfondo c’è la salvaguardia dell’identità del singolo, da bilanciare con la volontà generale a disporre di contenuti aggiornati, veritieri e contestualizzati. C’è ovvia tensione tra cronaca e oblio: in questo senso, questo prevale su quello allorquando non si fosse riattualizzata l’attenzione pubblica favorendo l’equilibrio tra individuo e collettività. Complessità acuita dalla digitalizzazione, dai motori ricerca sempre più utilizzati, rendendo così ogni dato un frammento eterno raggiungibile con un semplice clic. Il problema non è rimuovere un contenuto, ma consiste nello spezzare una catena di connessioni che perpetuano la sua esistenza. Un tempo l’oblio era un effetto naturale: oggi l’oblio, attraverso le banche dati, è un diritto da affermare. Quindi on più mera pretesa a scomparire, in quel bilanciamento tra individui e interessi collettivi, ma riconoscimento dei dati in un quadro più ampio in cui identità e riservatezza assumono un ruolo centrale. Occorre una progressione in tre step: assicurare dignità sociale al singolo; controllo effettivo sui contenuti relativi all’identità digitale dell’individuo; diritto all’oblio come piena realizzazione del principio di autodeterminazione informativa. Dal diritto alla cancellazione occorre passare alla pretesa a essere dimenticati. La cancellazione diventa una pretesa declinata nel senso di congelamento dei dati, opposizione al trattamento e la già nota deindicizzazione”. A conclusione dei lavori, dopo interventi illustri dei proff. Salvatore Orlando, de “La Sapienza” e Luigi Tonino Marsella, di “Tor Vergata” e di Olindo Lanzara, di “Unisa”, è toccato al sostituto procuratore della Repubblica del Tribunale di Napoli, dott.ssa Mariasofia Cozza e alla vice presidente del Garante per la protezione dei dati personali, prof.ssa Ginevra Cerrina Feroni. A conclusione, l’intervento del Presidente del Garante per la protezione dei dati personali, Pasquale Stanzione: “Anche la Speme, ultima Dea, fugge i sepolcri: e involve tutte cose l’obblío nella sua notte. Le poetiche parole di Foscolo valgono ancora nell’età digitale, nell’infosfera? Sebbene negli ultimi decenni vi sia stato un significativo sviluppo di atteggiamenti più inclusivi verso ogni forma di vulnerabilità, permangono ancora diverse forme di discriminazione. Franco Basaglia, con parole ancora attuali, affermava che egli non era capace di dire che la malattia e la salute sono esattamente l’equilibrio e lo squilibrio della situazione biologica della persona. La società esclude i malati e invece la società civile dovrebbe accettarli. Identità e diversità. Sembrerebbe strano citare qui qualche autore del ‘700, dell’enciclopedia degli illuministi, sull’égalité Naturelle, in cui si scopriva, prima della Rivoluzione francese, che l’eguaglianza è il fondamento della libertà. Ogni limitazione della libertà è lesione della dignità umana. Ma questo sottolineare il valore del principio non elimina la presenza di forti diseguaglianze che derivano dal versante intellettuale, culturale, come dal piano fisico e della salute. Proprio perché gli esseri umani sono in sostanza delle eccezioni, ognuno di noi lo è, si pone la conseguenza che ognuno venga ugualmente rispettato nella sua dignità individuale, insieme alla sua comune appartenenza alla umanità. Tuttavia, l’eguaglianza, pur declinata in senso ampio, rischia spesso di essere messa da parte, di essere revocata, soppressa anche sotto lo scudo di disposizioni normative che dovrebbero invece garantirla. Il principio della libertà implica il rispetto di una pluralità di valori, di aspettative, di desideri”.