di Erika Noschese
Il sovrappeso e l’obesità infantile rappresentano oggi una delle sfide sanitarie più urgenti a livello globale. Per la prima volta nella storia, il numero di bambini e adolescenti obesi ha superato quello dei coetanei sottopeso, un dato allarmante evidenziato da un recente rapporto dell’UNICEF. Questo fenomeno, in crescita costante dal 2000, riguarda 391 milioni di ragazzi tra i 5 e i 19 anni e solleva serie preoccupazioni per la loro salute presente e futura. Per capire le cause di questo aumento e le conseguenze a lungo termine, abbiamo intervistato il dottor Giuseppe Falciani, biologo nutrizionista.
Perché c’è un aumento dei bambini obesi a livello globale?
«Negli ultimi decenni si è verificata una “transizione nutrizionale”: da un lato si riducono i casi di malnutrizione da carenza, dall’altro aumentano quelli di obesità. Oggi i bambini hanno più cibo a disposizione, ma spesso si tratta di prodotti ad alta densità calorica e poveri di nutrienti. Sono alimenti economici, pubblicizzati e facili da reperire. A questo si aggiungono la sedentarietà, la riduzione del gioco all’aperto, l’aumento del tempo trascorso davanti a schermi e dispositivi, e una forte pressione sociale e pubblicitaria verso il consumo di snack e bevande zuccherate».
Quali sono le conseguenze neurobiologiche dei cibi ultra-processati?
«Il cervello in età evolutiva è molto sensibile a ciò che mangiamo. I cibi ultra-processati, ricchi di zuccheri semplici e grassi, stimolano in modo eccessivo i circuiti della ricompensa, favorendo comportamenti simili alla dipendenza. Possono inoltre indurre infiammazione cerebrale e alterare l’ippocampo, area fondamentale per memoria e apprendimento. Questo si traduce in difficoltà di concentrazione, calo del rendimento scolastico e disturbi dell’attenzione. Inoltre, il consumo elevato di questi alimenti è stato associato a un maggior rischio di ansia, depressione e disturbi dell’umore».
Quali sono le specificità italiane che incidono su obesità e sovrappeso?
«Nel nostro Paese circa un bambino su dieci è obeso. Persistono forti differenze territoriali e socioeconomiche: i dati peggiori si registrano al Sud e nelle fasce meno abbienti. A incidere sono il consumo quotidiano di bevande zuccherate e merendine confezionate, la scarsa attività fisica e una cultura alimentare che, pur legata alla tradizione mediterranea, si è impoverita nelle abitudini quotidiane. Le strategie più efficaci sono uniformare la qualità delle mense scolastiche su tutto il territorio, introdurre programmi di educazione alimentare continui, e valorizzare l’attività motoria quotidiana a scuola».
Perché i cibi a basso costo sono diventati così diffusi?
«Si tratta di alimenti ad alta densità calorica e bassissimo valore nutrizionale: tante calorie, pochi nutrienti essenziali. Provocano rapidi picchi glicemici, accumulo di grasso addominale e carenze vitaminiche. La diffusione è legata a fattori economici e logistici: sono più economici, più facili da trasportare e conservare rispetto ai cibi freschi tradizionali. Con la globalizzazione e il marketing aggressivo hanno progressivamente sostituito le diete locali basate su pesce, frutta e radici, molto più sane ma meno pratiche».
Quali sono le patologie a lungo termine legate all’obesità infantile?
«Le conseguenze sono molteplici e vanno oltre quelle più conosciute. Chi soffre di obesità in età infantile ha maggior rischio di sviluppare malattie del fegato (come la steatosi epatica), problemi ormonali e di fertilità, sindrome dell’ovaio policistico, apnee notturne, calcolosi biliare, dolori articolari e malattie renali. È aumentato anche il rischio di alcuni tumori in età adulta. Inoltre, non si possono trascurare le conseguenze psicologiche: bassa autostima, isolamento sociale e disagio emotivo».
Quali politiche alimentari dovrebbero essere adottate per contrastare l’obesità infantile?
«Le azioni prioritarie sono tre: limitare la pubblicità rivolta ai bambini per i prodotti ad alto contenuto di zuccheri, sale o grassi; introdurre una tassa sulle bevande zuccherate e destinare le risorse così raccolte a finanziare mense scolastiche più equilibrate e programmi di attività fisica; rendere le etichette alimentari più chiare e comprensibili, per aiutare le famiglie a fare scelte consapevoli. Queste misure, già adottate in diversi Paesi, hanno dimostrato di essere efficaci».
Quali consigli pratici darebbe a genitori e scuole per un’alimentazione sana?
«Ai genitori consiglio di dare il buon esempio: in casa l’acqua deve essere la bevanda quotidiana, la frutta e la verdura devono comparire ogni giorno, e le merende devono essere semplici e leggere, come yogurt, frutta fresca o pane e olio. Gli snack confezionati vanno riservati alle occasioni speciali, non alla quotidianità. Alle scuole suggerisco di eliminare distributori di bibite e snack, proporre frutta fresca a mensa e organizzare programmi educativi pratici. Infine, movimento e sport devono diventare parte integrante della giornata scolastica».
Che ruolo hanno i media e la pubblicità nella diffusione dei cibi ultra-processati?
«Il ruolo è enorme. I bambini sono costantemente esposti a spot televisivi, contenuti sui social network, videogiochi e influencer che promuovono snack e bevande. Questo stimola il desiderio e aumenta i consumi. Per limitare l’impatto servono regole chiare e vincolanti che riguardino tutti i mezzi di comunicazione, non solo la TV, e che includano anche le piattaforme digitali. Parallelamente, bisognerebbe promuovere messaggi positivi e campagne a favore di cibi freschi e salutari».
Come si distingue il sovrappeso dall’obesità grave nei bambini?
«Per i bambini non si utilizzano i valori fissi degli adulti, ma curve di crescita specifiche per età e sesso elaborate dall’OMS.
Si parla di sovrappeso quando l’indice di massa corporea supera di poco la media per l’età, di obesità quando lo scostamento è molto più marcato, e di obesità grave quando il peso supera in maniera significativa le soglie di riferimento. In quest’ultimo caso è necessario intervenire rapidamente con un approccio multidisciplinare».
Quali altre figure professionali dovrebbero essere coinvolte per affrontare l’obesità infantile?
«L’obesità infantile è un problema complesso e non può essere affrontato da un solo professionista. Accanto al nutrizionista devono lavorare il pediatra, lo psicologo, gli insegnanti e gli educatori, gli allenatori sportivi, gli assistenti sociali e, quando necessario, specialisti come endocrinologi ed epatologi. Solo un approccio integrato che coinvolga famiglia, scuola e sistema sanitario può produrre risultati duraturi».





