di Lucia D’Agostino
Ambientazione essenziale, basta quella architettonica di Niemeyer a crearla mirabilmente, una presenza fisica indubbiamente forte, e allo stesso tempo in sottrazione, quella di Toni Servillo, e la parola di Dante, anzi meglio, la bellezza della lingua italiana che il sommo poeta ha fissato nei secoli. “Le voci di Dante”, elaborazione drammaturgica di Giuseppe Montesano, è stata ieri una prima assoluta (“parterre de roy” con il Presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca) nella programmazione di “Ravello Natale 2021”, una rassegna che riporta la bellissima città della musica amalfitana al centro dell’offerta culturale invernale campana. È andata in scena, nello spazio suggestivo dell’Auditorium Oscar Niemeyer, così, la Parola, quella della “Divina Commedia” che ha dato espressione e forma, attraverso personaggi reali assurti ad archetipi, alla condizione umana, nelle sue miserie infime e nelle sue altezze spirituali, nelle passioni più terrene e nelle sublimazioni più ascetiche, dove a fare da ago della bilancia è sempre l’Amore, eternamente oscillante e in bilico tra Eros e Agàpe. L’operazione che Montesano fa con la “voce” di Servillo è quella di attualizzare il mondo della Commedia che altro non è che il nostro, perché siamo ancora e sempre noi Ugolino, Celestino V, Ulisse, Didone, Paolo e Francesca, Beatrice. In un eterno ciclo dall’Inferno della malvagità, dell’ignavia e dell’indifferenza al Paradiso della ragione, dell’altruismo e dell’amore dove una volta che siamo arrivati a scoprire l’infinito non ci resta che ricominciare, perché solo attraverso questo mondo di “sorrisi e lacrime” possiamo trovare la Via, quella fatta di amore e di stelle. È sempre toccante risentire i versi di Dante, capire quanto ci riflettono nel profondo perché specchio immediato della nostra condizione eterna di corpi che amano, soffrono, sbagliano eppure, alla fine, sono capaci di accedere alla bellezza dell’infinito. È attraverso le parole “Poscia, più che ‘l dolor potè ‘l digiuno” del Conte Ugolino che entriamo nell’oscurità dell’umano che si fa disumano. Le scelte e l’indifferenza imperdonabili degli ignavi sono le nostre davanti alle deportazioni degli ebrei e alla massa degli affaristi contemporanei, quel nostro non schierarci dalla parte giusta per paura che ci fa vivere in un vuoto eterno, perché muore solo chi ha vissuto. Ulisse siamo noi che, attraverso la trasformazione di noi stessi, spalanchiamo le porte all’ignoto e al cambiamento in un viaggio senza ritorno a casa. È lo squarcio di Eros nelle vite di Paolo e Francesca che dà spazio all’Amore ed è l’amore di Dante per Beatrice che si compirà finalmente davanti a tutti i lettori. Un amore, quello di Beatrice, che si realizzerà solo nell’ascesa del Paradiso dove la lingua si fa pensiero e la vista è visione della mente. È la parola che contiene il potere della vita, insieme all’amore.