Stasera, vernissage per la collezione firmata da Paola Molinari, negli spazi di Carpinelli Home, alle ore 18. Sono de-costruiti i monili della Molinari, nei materiali e nel segno, rame, vetro di murano, intensi profili delle donne mediterranee, che accettano la sfida del mare, la “libertà”
Di Olga Chieffi
“E’ femmene ‘e mare so’ femmene amare/So’ femmene doce so’ femmene over’/ E’femmene ‘e mare nun rideno maie/Nun rideno maie nun so’ maie sincere/’E femmene ‘e mare sa portano ‘a dinto/Sa portano ‘a dinto alleria do campa’/’E femmene ‘e mare nun sanno fa ammore/Ma songhe criature ma sanno sunna’/’E femmene ‘e mare so’ femmene sole/So’ femmene annure vestute e paure….”. E’ questo l’incipit della canzone che Lina Sastri cantò a Sanremo del 1992. Il testo di Fiorillo e Giglio può diventare una sintesi della mostra Mytologicum, una collezione di monili firmati da Paola Molinari, che potrà essere ammirata presso gli spazi di Carpinelli Home, in Via dei Principati 65, dalle ore 18, alle ore 22 di stasera, il cui titolo è stato ispirato da un’opera di Monica Hannasch in cui sono rappresentate le due iconografie della sirena. Un progetto questo nato prima della pandemia, poi bloccato, come tutta l’attività della Molinari che ha collaborato con prestigiose maison quali Altaroma e Fausto Sarli, realizzato con grandissima difficoltà, proprio per la realizzazione dei diversi componenti dei monili. ll mito ci narra di eroine che attraversano il Mediterraneo, spesso inseguite e stuprate da dei o uomini, quali Europa, Etéra, Calipso Circe; talvolta, invece, dalle medesime acque protette, e ancora storie di amori intensi, che si trascinano fra le onde, con tradimenti, suicidi e vendette, dove le protagoniste hanno un ruolo attivo e salgono su una nave, propria sponte, per amore, come Elena, Arianna, Medea e Fedra. Se Ifimedea venne violentata da Poseidone e ne restò incinta, Europa fu un capriccio di Zeus che la rapì, ingannandola sotto mentite spoglie, neppure Io riuscì a sfuggire all’impeto del re degli dei. Non mancano nel mito le donne che esercitavano una forma di potere, poche per la verità, ma indimenticabili. Dee, eroine, sacerdotesse, amanti, regine, armatrici e non solo, che si lanciavano in viaggi avventurosi, donne speciali che non avevano paura, ma splendevano della loro forza, del loro coraggio, del loro sapere. I monili della Molinari si ispirano non solo alle eroine ma a tutte le mater mediterranee, potnie, sirene, un po’ streghe, donne che hanno imparato ad intuire la pericolosità delle onde violente, a fermare le trombe marine con formule magiche e orazioni, accogliendoci in quel meraviglioso contenitore di profumi, colori, ombre, luci, chiamato Mediterraneo, fusione di culture diverse ed importanti, un mondo, impensabile per certuni, in questo secolo di stravolgimenti e di irriverenze etniche e culturali. Sono de-costruiti i monili della Molinari, nei materiali e nel segno, rame cannellato, vetro di Murano, intensi i profili delle donne mediterranee, in ceramica, che accettano la sfida del mare, la “libertà” di “rivestire di sé” un canto, la forza del sentimento “vero” contro ogni divieto “artificioso”, il senso di ribellione alle ingiustizie, l’umorismo con cui affrontare le peripezie della vita. Le donne dai capelli al vento, si incastonano tra pesci frammentati, tra i loro smalti vivissimi, sfere ricoperte di corallo, da cui partono fili discorsivi di leggende e mitologie pagane vissute nello splendore sentimentale della dolce vita del Mare Nostrum, i “Sorrisi infiniti dei flutti del mare” (Eschilo: Filottete), evocanti in un fluxus ossessivo e mistico spaziante dai colori forti, avvolgenti, specchio del “contaminato” sentire interiore della Molinari. La verità resta nel “fare”, tentando, sulla scia di queste invitte figure marine, formule d’indicibile, immersioni nelle acque informi e nelle grotte della mente, il tuffo cartesiano “ in acque profondissime”, ritrovandoci, alla fine, rigettati sulla riva dell’umano e del senso del mondo, stringendo tra le mani un frammento di un antico cratere greco andato in frantumi, raffigurante i piedi di Ulisse incatenati all’albero maestro della navicella del suo ingegno, simbolo della passione dei nostri remoti sentieri.