Musica, storia e teatro per il Caravaggio - Le Cronache Salerno
Salerno

Musica, storia e teatro per il Caravaggio

Musica, storia e teatro  per il Caravaggio

Olga Chieffi

Appuntamento ricco di sorprese, quello di venerdì scorso presso il Complesso San Michele di Salerno. L’esposizione della “Presa di Cristo di Caravaggio”, grazie all’impegno profuso dalla Fondazione Carisal, con la collaborazione del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Salerno e di Corpo Novecento, ha consentito di riattivare il dialogo tra alcune voci creative della cultura salernitana e con un interessato uditorio, che ha sempre più bisogno di bellezza in un mondo che alimenta angosce, frantuma il senso e indebolisce la tempra vitale. Una conversazione, non una conferenza. Nessuno può “spiegare” l’arte, declinare il senso che si cela dietro un capolavoro. Eppure, l’opera può assurgere a occasione di incontro capace di stabilire connessioni tra persone. Davanti all’opera la nuda verità dell’essere uomini emerge con prorompente energia. Chissà come, chissà da dove: l’ e-mozione in fondo ha a che fare con questo sentire privo di fondamento e colmo di sgomento, che tuttavia ci rende partecipi dell’unica, fragile famiglia umana. Appassionati gli interventi degli ospiti, sapientemente coordinati da Concita De Luca. Il docente di Storia moderna del nostro ateneo, Alfonso Tortora ha delineato, attraverso il richiamo ad alcune date significative, il contesto storico che consente alla musica e al teatro di soddisfare l’urgenza umana, troppo umana, di dar forma all’informe, rappresentare l’irrappresentabile, esprimere l’inesprimibile. Il Barocco accoglie con inedita potenza la dinamica degli impulsi vitali descritta da Nietzsche attraverso la coppia apollineo-dionisiaco: la contraddizione diventa anima dell’estetica, prospettiva di salvezza, categoria di pensiero per comprendere la nostra vita e accoglierne con più indulgenza l’imperfezione e il disordine. Di sicuro effetto la lettura di Pasquale De Cristofaro dalle “Lettere a Bernini” di Marco Martinelli: la voce monologante dell’attore e quella di Bernini si rincorrono e sovrappongono senza soluzione di continuità, evocando un Seicento, che parla di noi, sospeso tra il secolo della Scienza Nuova e l’attuale imbarbarimento, con amarezza e un tocco di sana leggerezza. Nell’intervento conclusivo Francesco Aliberti cerca di delineare l’insorgenza di caratteristiche musicali che consentano di definire uno stile barocco, in particolare: la moderna percezione dell’accordo, l’avvento del repertorio strumentale, il passaggio della linea melodica principale al soprano e soprattutto la possibilità di sovrapporre caratteri contrastanti per esprimere il chiaroscuro della vita attraverso le strategie retoriche operanti nel recitar cantando. Alla luce dell’impegno di Fulvio Artiano, direttore del Conservatorio Martucci, nella valorizzazione dei talenti musicali del territorio, il gruppo vocale della classe di Esercitazioni Corali ha proposto un repertorio di laude e villanelle che, narrando il superamento delle barriere tra sacro e profano, musica colta e musica popolare, sappia parlare di Dio attraverso la dimensione del corpo, l’energia vitale del ritmo, la sensualità della danza, la libertà dell’espressione vocale: caratteristiche che consentono anche agli allievi non cantanti di fare esperienza della propria voce per meglio comprendere quel difficile equilibrio tra mente, emozione e corpo che innerva ogni performance. Doveroso menzionare i partecipanti: Martina Bernabò, Benedetta Di Marco, Francesca Chiappetta, Francescanthea Cristillo, Mariaolmina Fariello, Valentina Sole, Daniela Magnotta, Flavia Askevold, Diana De Mita, Alessia Ianiro (soprani); Gerardo Orsini, Ellanz Miglino, Michelangelo Breglia, Simone Mastragostino, Alfredo Baruffa (tenori); Andrea Barletta, Antonio De Rosa, Carlo Antonio Vitiello, Mariano Mirra, Gabriel Paul Molea, Francesco Servetto, Michele Santaniello, Marco Somma, Luigi Sicignano (baritoni e bassi). Un particolare ringraziamento va a Vincenzo Citro, che ha “colorato” al mandolino l’atmosfera partenopea di “Vurria addeventare pesce d’oro”; a Domenico Donatantonio, che ha supportato l’accompagnamento strumentale alle percussioni; a Vittorio D’Emma, promettente ed intima voce di controtenore nella delicata villanella “Figlio dormi” di Kapsberger; a Ester Andreola, sempre sensibile nella ricerca di collaboratori disponibili a stabilire connessioni sincere. Nella musica barocca si palesano le contraddizioni del sacro. Il sacro è la superiore, vitale e sfrenata potenza che ci sovrasta e si impone con l’irrefrenabile impulso alla violenza, celando il rischio della distruzione dell’altro e di sé. La religione ha la funzione di “relegare” questo impulso, per “re-ligare”, ossia riallacciare le connessioni con l’altro che altrimenti, una volta consumate dalla violenza, non potrebbero resistere al collasso di ogni prospettiva di convivenza civile: persino un filosofo empirista del calibro di Hume ha dovuto ammettere che un popolo senza religione è “poco lontano dallo stato dei bruti”. Ma il sacro offre anche una prospettiva ontologica ulteriore, fatta di luce che si irradia tra le ombre. Ombre che al tempo stesso la accolgono e la rifiutano, come il vento che spira tra le fronde che resistono alla sua forza impetuosa. È la storia del Verbum fatto carne, non riconosciuto dal mondo e abbandonato a morire sulla croce. Nel narrare il viaggio della luce nell’oscurità, Caravaggio parla di noi. Non ci sono le cose, delimitate entro confini chiari e distinti, ma c’è la nostra vita, tra luci e ombre: serbare l’imperfezione è questo. Perciò, come ci ricorda Renato Zero, “non scandalizzarti dei marciapiedi!”. Applausi e nel volto del partecipativo pubblico, gioia, joie, “gioco”, che intendiamo declinato in tutte le sue accezioni artistiche, getheo, gioisco, theo, brillare, al quale ci uniamo tentando di continuare a realizzare l’invito di Francesco Aliberti, magnetico conferenziere, “In mezzo a tante ombre, meritiamo un barlume di gioia”.