di Marta Naddei
Pressioni, interferenze. Monsignor Luigi Moretti assolve parzialmente i portatori e ipotizza, anzi è certo che vi siano state, ingerenze esterne. Quanto accaduto domenica alla processione di san Matteo non è stata completamente farina del sacco dei paranzieri salernitani. Una ipotesi che potrebbe prendere seriamente corpo dopo che, a quanto si apprende, le indagini svolte dalla Digos di Salerno – e che hanno consentito l’apertura di un fascicolo da parte della Procura della Repubblica – avrebbero portato alla luce una circostanza alquanto singolare: al vaglio degli investigatori, infatti, sono passate anche alcune telefonate che sarebbero intercorse tra un esponente della maggioranza in Consiglio comunale e alcuni dei portatori poche ore prima dell’avvio delle celebrazioni per il santo Patrono. Addirittura, si parla anche dell’intervento di un componente della Giunta comunale. Insomma, una processione che rischia di diventare un vero e proprio giallo. Dopo due giorni, però, monsignor Luigi Moretti ha rotto il velo del silenzio e ha detto la sua. Lo ha fatto ai microfoni di Radio Vaticana, dove – oltre ad analizzare i fatti vissuti in prima persona – ha fatto un excursus anche sull’ambiente Salerno, non mancando di sottolineare che ai fatti di domenica si sia arrivati nonostante un anno trascorso tra incontri con i rappresentanti delle paranze dei santi e tentativi di trovare punti di incontro. «E’ stato un anno di cammino. A livello umano, l’amarezza vera è sentirmi tradito da chi precedentemente aveva preso impegni solennemente, facendo tutto questo per motivi pretestuosi: nell’ultimo incontro – ha detto Moretti – ci eravamo dati appuntamento nel dopo processione eventualmente per fare le osservazioni». Ma l’arcivescovo di Salerno è convinto che ci sia qualcosa che abbia interferito nel percorso di dialogo con i portatori. «Sulla pietà popolare ci si innestano altri interessi – ha spiegato – a volte si corre il rischio che tutti vogliono usare il santo per tutta una serie di scopi che con la fede non hanno niente a che vedere e che provocano un inquinamento». Insomma, un attacco denso di significati, il cui carico viene ulteriormente appesantito da Moretti: «Sarà necessaria una rilettura che permetta poi di trovare soluzioni che siano adeguate alle celebrazioni religiose. Gli stessi portatori – dice il Vescovo – vivono in contesti dove ci sono pressioni e interferenze di tutti i tipi. Questa esperienza amara, più che per me, per la città, per la chiesa, diventa uno spartitraffico che ci dice che certamente nulla è come prima». E alla precisa domanda del conduttore che gli chiedeva se i portatori fossero stati costretti, a suo parere, ad entrare in Comune per l’inchino, l’Arcivescovo, lapidario, ammette: «Più che costretti, direi che ci sono state reali interferenze». Moretti, a quanto pare, una sua idea su quanto accaduto, ma soprattutto sul perché, se l’è fatta e non ha perso tempo a dirla. Ma, alla fine, ammette di essere dispiaciuto non per i fischi e le offese ricevute ma per «offesa alla sacralità della celebrazioni, la profanazione». Ma se l’iniziativa non è stata completamente riconducibile ai portatori, chi c’è dietro tutto questo?