Don Osvaldo lo indicava come il “colosso di Barletta”. Quando ottanta anni fa il vescovo della città di Salerno Monsignor Nicola Monterisi si accomiatò dal mondo dei viventi, la sua dipartita avvenne in una città ancora sconvolta dalla caduta dei lapilli. Tutta la cittadinanza era impegnata, dopo bombardamenti e sbarco, a risolvere l’ennesima emergenza stavolta di natura naturale. Per i funerali del Prelato, che si spense giovedì 30 Marzo nella Pia Casa di ricovero, per come si presentava coperta dai lapilli vesuviani Salerno in tanti contorni del centro storico, sembrava orlata di un velo nero funereo. Il mesto addio non vide presente la folla di fedeli che un uomo di tale grandezza avrebbe meritato. Molti cittadini appresero in ritardo del triste evento tanto che molti filiani della grande diocesi seppero della sua mancanza per voce dei loro parroci la domenica seguente. All’epoca fu così per i miei familiari, identico il modo in cui apprese della morte del suo vescovo per il giovane seminarista Osvaldo, ancora sfollato a Monte-Casino di Matierno per i fatti bellici. Il ragazzino una volta diventato prete, usò in tante omelie e sermoni richiamare la vita del suo vescovo formatore come esempio di coerenza cristiana assoluta. Negli anni post conciliari il pretino Osvaldo Giannattasio arrivò a Santa Margherita, luogo simbolo del sacrificio del parroco Felice Ventura, suo predecessore e le storie del periodo bellico entrarono negli approfondimenti dei suoi ragazzi e giovani di A.C. Nel ricordare il vescovo del tempo di guerra spesso Osvaldo usava l’iperbole di “Colosso della chiesa e della società italiana” affinché apprendessimo la poliedricità della grande figura carismatica dei campi cristiani, culturale, sociale, politico e finanche militare. Osvaldo quelle dottrine, ma è più giusto usare in termine dialogo le teneva principalmente a noi, i suoi ragazzi figli del loro tempo, quelli degli anni 60 di contestazione giovanile. Quella classe di giovani, tutti nati nel dopoguerra, quella che fu la prima nata democratica, possedeva uno spirito critico e un innato carattere contestatario, condito da una sfrontatezza di rapporti fino allora inconcepibili. Tutte cose che il prete non mortificava e alimentava confrontandosi su ogni tipo di argomento. Nello specifico per Monterisi, noi giovani non mancavamo di far rilevare al prete che il suo argomentare sul prelato era ammantato di una forma troppo benevole di rispetto verso chi era stato suo maestro nel seminario. Spesso lo punzecchiavamo ricordandogli che se Monterisi fosse stato un grande, come il prete asseriva, perché solo una generazione successiva non riceveva poi tante pubbliche attestazioni di benemerenze dal mondo culturale, politico, giornalistico e forse anche religioso? Una sfida dialettica cui il giovane prete non si sottraeva e garbatamente con grande cultura e solidità dialettica era solito ragionare con noi. Appellandolo spesso come un “Colosso”, egli rimandava al più importante monumento storico di Barletta per ripetere che fosse stato barlettano di nascita e portatore di un’eccelsa mente di meridionalista. Spesso il giovane sacerdote ricordava, a nostro beneficio culturale, gli studi universitari fatti in Vaticano ai tempi di Leone XII. Studi che, oltre a rendergli pratico de funzionamento interni alla Santa Sede era valso a Monterisi un trittico di lauree. La sua formazione nella Roma leonina, vera fucina di movimenti associazionistici sociali, coi quali intrattenne fecondi contatti collaborativi, gli permise poi di trasferire a Barletta quel moto dello spirito, con l’esigenza di impegnarsi nel sociale per consolidareuna maggiore presenza della Chiesa nella intera società civile. Nelle frequentazioni romane Monterisi acquisì la consapevolezza che i cattolici dovessero abbandonare il “non expedit” di Papa Pio IX e incamminarsi, seguendo le indicazioni del nuovo Papa, da cattolici praticanti e clero da protagonisti nella vita della società civile, proponendosi anche in ambito politico Era necessario allora contrapporsi con spavalderia all’anti-clericalismo, che all’epoca voleva che i cattolici e i preti rimanessero confinati dentro le quattro mura delle chiese e lui riusci nell’intento. Monterisi in possesso di un proprio stile conciso e immediato fu tra i primi ad applicare i dettami delle encicliche sociali di Papa Leone XIII, come non ricordare la “Rerum Novarum” dei suoi tempi. Il giovane prete barlettano fu tra i precursori che riannodarono i rapporti dei cattolici con gli ambienti sociali delle diocesi. Lui seppe farlo a Barletta, nelle puglie e tutto il sud, creando associazioni laiche e sociali come i “Circoli Leone XIII”, fondando e scrivendo il giornale cattolico “Il Buon Senso” rinnovando l’Azione Cattolica come associazionismo laico fino a impegnarsi direttamente in politica, tanto da essere eletto come consigliere comunale a Barletta in una lista cattolica con altri sette candidati eletti. Tutte cose che non ostacolarono il suo essere prete tra la gente, principalmente gli ultimi. Cosi nel 1910, mentre a Barletta infieriva un’epidemia di colera, rimase per un lungo periodo, nonostante il rischio di essere contagiato in servizio come cappellano del lazzaretto. Una volta assurto a Vescovo, la sua idea predominante la riservò ai novelli sacerdoti desiderando per loro una preparazione culturale d’avanguardia, con docenti di livello svolti in seminari idonei allo studio. I seminari furono sempre il primo settore in cui intervenne nelle diocesi in cui fu insediato come vescovo. Tant’è che giunto nel 1929 a Salerno, i suoi sforzi iniziali lì impiegò nella realizzazione del nuovo seminario inter-regionale. I fatti successivi, allora da noi noti perché vissuti dalle nostre famiglie e che sono quelli oggi comunemente noti, in altre parole di quando Monterisi, già vecchio e malato, assurse a “generale dei suoi soldati” comandati a stare vicino al popolo in sofferenza, addolorandosi per la morte per alcuni di essi. Nel corso dello sbarco poi dovette fungere da “politico”, solo in una parte non sua a sostituire “quelli di prima, scappati e quelli che sarebbero apparsi dopo, perché nascosti nella migliore ipotesi”. Lui vecchio fu l’unico, presente in città ad accogliere i governi, prima quello militare alleato e poi quello del lembo di Italia libera. Generali veri dei due diversi campi che ricevettero dal vecchio Vescovo esempi di cosa volesse dire essere un leader carismatico e riconosciuto in mezzo alla gente. Don Osvaldo alle nostre costatazioni temporali era solito finire dicendo che solo grandi personalità potevano aggiungere altro lustro a un inavvicinabile figura qual era stata quella Monterisi. Posso confermare che l’allora giovane pretino ci aveva visto giusto. In seguito dal mondo culturale solo dei grandi approfondirono il suo ricordo. Prima fu il Mons. Antonio Balducci, suo fido segretario e poi fu lo storico Gabriele De Rosa descrisse come la sua azione politica e sociale non era lontana da quella attuata da don Luigi Sturzo, associando più volte le due figure cattoliche votate al sociale e alla politica. Un’altra grande figura della scena politica che all’epoca si prodigò nel tener vivo, almeno a livello comunale il suo ricordo fu Alfonso Menna. Il sindaco ebbe il merito di perpetuarne il nome intestandogli prima una strada, aperta a lato del duomo, e nel ventennale della scomparsa fu il promotore dell’intitolazione della Scuola Media Statale di Pastena. Per restare a personalità di straordinaria grandezza come non ricordare quando superato il quarantennale della morte, fu Giovanni Paolo II, poi Santo, a far memoria di Monterisi. Il Papa nel ringraziare tutti i vescovi succedutisi sulla cattedra episcopale salernitana per Monterisi aggiunse: ” In particolare, per i tempi a noi più vicini, come non ricordare a comune gaudio e edificazione il nome di Monsignor Nicola Monterisi, che si prodigò per elevare il tono della vita del popolo e fu pioniere dell’ancora aperta e complessa questione meridionale? Egli incise in modo determinante nella tensione pastorale dei sacerdoti, infondendo nei loro cuori un vero zelo per la catechesi, l’amministrazione dei sacramenti, l’apostolato dei laici e per l’assistenza ai poveri”. Era il 1985 quando il grande Papa polacco fece visita alla nostra città. Un Ultimo ricordo collettivo legato al grande presule si ebbe esattamente due lustri fa. Allora in occasione delle celebrazioni dei settanta anni di “Salerno Capitale” si volle ricordare anche il grande vescovo, precursore dell’integrazione dei cattolici nell’agone sociale e politico. Intervenne allora il Cardinale Francesco Monterisi, nipote sia di Nicola sia del fratello Ignazio, Vescovo di Potenza. L’alto prelato fu accolto a Pastena proprio nell’istituto dedicato allo zio e testimoniò con alcuni ricordi personali il rapporto con zio Nicola influente nelle sue future scelte di sacerdozio. Dopo quella manifestazione quasi il nulla, se si eccettuano i ricordi social decaduti e ridottasi al “copia e incolla” che di cotanto personaggio propone e ripropone solo il “gira tacchi” che il presule impose al capo del governo. Quasi un’offesa per la figura di primo piano ricoperta da quello che in tanti campi si dimostrò essere un precursore e che i cittadini suoi contemporanei apprezzarono come uomo vero sempre vicino al popolo salernitano, nei fatti sempre vicino agli ultimi. Cosa, quest’ultima forse più apprezzata dal buon Dio. Giuseppe Mdl Nappo, Gruppo Scuola Maestri del Lavoro Salerno
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