Mons Pierro, tra fede e politica - Le Cronache Ultimora
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Mons Pierro, tra fede e politica

Mons Pierro, tra fede e politica

Antonio Manzo

Non ha mai guardato dalla finestra ciò che accadeva ma perché aveva, da prete e vescovo, sposato completamente la causa dell’uomo meridionale. Non si potrà prescindere un giorno nella storia della religiosità meridionale dall’opera di monsignor Gerardo Pierro, arcivescovo emerito di Salerno per lunghi diciotto anni, scomparso ieri. Un vescovo del Sud per il Sud, un Pastore buono, un vescovo meridionale, un evangelizzatore della Chiesa cattolica nel pontificato di Karol Woytila. Un vescovo non può guardare dalla finestra ciò che avviene, ma deve sposare completamente la causa dell’uomo. Non può restare alla finestra, ma deve scendere tra la sua gente. Fa politica? No, ma si incarna con il suo popolo. Quella di monsignore Gerardo Pierro è la sintesi di tutta una vita di studio, di preghiera, di servizio che dalle più alte speculazioni intellettuali (fedelissimo alunno di un gesuita come padre Alfredo Marranzini), ha tratto luce per l’interpretazione della realtà, così come hic et nunc si svolge nella storia nella Chiesa come nella società, nella concretezza del tempo e dello spazio. Monsignor Gerardo Pierro fu ordinato sacerdote nel 1957 dall’arcivescovo Demetrio Moscato. Aveva visto le macerie della guerra, i cantieri della ricostruzione, con la guerra appena alle spalle, mentre si aprivano sulle strade i segni del progresso che davano alla ricostruzione la forma più nobile di rinascita. Lui era cresciuto nella questione meridionale con la religiosità di un popolo sul quale la Chiesa faceva largo affidamento. E la Chiesa? Il Mezzogiorno aveva cambiato pelle sotto gli occhi di un sacerdote ordinato vescovo subito dopo il terremoto del ’80 e destinato alla diocesi lucana di Tursi Lagonegro che più di ogni altra metteva a fuoco la nuova condizione: quella della ‘modernità senza sviluppo’ . Intrepretò, fin dall’inizio del suo episcopato, il Mezzogiorno come terra di nuova evangelizzazione e di vera e propria missione che lo portò prima alla diocesi di Avellino per poi rivestire la missione episcopale che fu del suo illustre predecessore monsignor Nicola Monterisi. Monsignore Gerardo Pierro fu così interprete di un impegno collettivo e corale, di tutta la Chiesa sulla spinta dell’incessante magistero di Giovanni Paolo II che volle significativamente inaugurare a Salerno il nuovo seminario, su invito dello stesso Pierro. La possente costrizione della diocesi di Salerno fu il più importante investimento nella Chiesa italiana in una struttura per formare il nuovo clero. Fu anche il Pastore che visse i cambi politici negli anni dell’archiviazione del sistema de partiti, accogliendo con rispetto le guide delle amministrazioni di sinistra a partire da quella guidata da Vincenzo De Luca che con lui condivise una ripresa urbanistica delle Chiese salernitane come centro pulsante della comunità civile. Fare politica per l’arcivescovo Pierro cresciuto negli anni del profondo collateralismo tra clero e Dc, significava salire sui tempi del cambiamento in una diocesi che contava numerosi paesi con i container in cui sono erano state “seppellite” per anni migliaia di famiglie abituate agli stenti ma condannate a un’esistenza da “ultimi degli ultimi”. In dialogo, e molto spesso in conflitto con i leader dei partiti, quella di don Gerardo Pierro è stata anche la storia di un prete che è stato un soggetto politico a tutto tondo. tanto che ministri e alcuni presidenti del Consiglio (primo fra tutti il leader avellinese, suo amico, Ciriaco De Mita) hanno dovuto fare i conti con quel vescovo testardo. Lui per amore del suo popolo non esitava a praticare già da allora “una Chiesa in uscita”. Ma lui visse negli anni del suo episcopato, soprattutto a Salerno, frequenti momenti di sconforto, quando si ritrovava solo e nel mirino di alcuni detrattori anche ecclesiali come quando mise coraggiosamente fine alla storia del gruppo ecclesiale de il “Gregge” o quando dovette fronteggiare la magistratura con l’accusa di truffa per avere recuperato l’ex colonia di San Giuseppe che tutti avevano dimenticato essere stata la prima vera opera della carità salernitana negli anni del dopoguerra. Amato dal popolo e a volte perfino odiato anche da suoi confratelli (ha subito un indegno dossieraggio fino a poco tempo fa), come capita frequentemente a coloro che scrivono pagine di storia. E monsignore Gerardo Pierro ha lo ha fatto in terra salernitana senza il timore che uomini distratti potrebbero archiviare ormai negli scaffali della storia il suo impegno pastorale ed ecclesiale. Basterà riscoprire la evangelizzazione praticata e predicata nei volumi che riportano i suoi scritti, a partire da quelli del Sinodo diocesano. Oppure i convegni storico scientifici sull’arcivescovo Girolamo Seripando che da Salerno fu inviato dall’allora Papa a fronteggiare il Lutero dello scisma, fino agli arcivescovi Nicola Monterisi e Demetrio Moscato oltre che la riscoperta del beato Domenico Lentini nella diocesi di Lagonegro. Solo attraverso questi sentimenti di fede e di storia, vissuti fino in fondo, si può essere attori veri di una comunità globale e prossima. Senza infingimenti monsignor Pierro ha sempre espresso il suo pensiero, libero ed onesto, da paladino del Sud che sta sempre più affondando davanti agli occhi distratti della politica e della società civile di tutto il Paese. Monsignore Gerardo Pierro avrà sofferto anche l’avvenuta l’insignificanza politica dei Cattolici, lui cresciuto con l’intima essenza del pensiero sociale della Chiesa e ora sa bene, per tutte le sofferenze patite, che davanti al Signore la morte ricapitola ogni cosa e la riduce all’essenza della Vita che verrà.

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