di Corrado Cavaliere
Sabato ci ha lasciati una persona di grande spessore umano e professionale, Michele Pappalardo.Ha insegnato presso le Università di Napoli prima e – più a lungo – di Salerno e poi ed ha lasciato il segno presso le Università di mezzo mondo, America del Sud e del Nord, Europa e Giappone.Cosa ci ricordiamo di lui noi e le tante persone che lo hanno conosciuto? La curiosità, l’apertura mentale, l’amore per gli approfondimenti, il rigore. Non c’era argomento che non lo stimolasse ad andare più a fondo, spaziava dalla meccanica quantistica alla storia dei templi di Paestum e dell’area di Pontecagnano in cui era vissuto. Non c’era libro o reperto antico che non lo inducesse a cercare di saperne di più e a raccontarne.I suoi corsi universitari erano una fucina in linea con la sua idea di innovazione continua. Non a caso, quando gli abbiamo chiesto di tenere un seminario a giovani laureati ci ha sbalorditi parlandoci della Open Innovation, un potente strumento di sviluppo che muove il mondo. E noi non ne sapevamo niente.Se vado indietro nel tempo, molto indietro, ritrovo Michele in un appartamento a Fuorigrotta dove erano a pensione tanti studenti di ingegneria. Dividevamo la stanza e le baruffe. Ma una volta ha invitato me ed altri colleghi ad un mega pranzo a casa sua: il padre, don Carmine, a capotavola, la madre e la zia a servire. Una giornata memorabile. Poi abbiamo preso, come capita, strade diverse; Michele è stato chiamato all’Università dove ha avuto il privilegio di lavorare con uno scienziato del calibro di Luigi Napolitano, che collaborava con la NASA e portò a Napoli negli anni Sessanta l’astronauta John Glenn per la gioia di noi studenti. Una volta trasferito a Salerno è arrivato rapidamente a diventare professore ordinario nella facoltà di ingegneria. Tutte le volte che andavo a trovarlo mi capitava di raccogliere le manifestazioni di apprezzamento di suoi colleghi e studenti.
Obbligato alla pensione – da un’assurda regola (mi piacerebbe sapere chi l’ha inventata) – ha continuato per alcuni anni a prestare la sua opera all’Università con immutata passione e impegno.
Poi la malattia, vissuta con il suo sorriso sulle labbra. Ho avuto il privilegio di sentirlo al telefono almeno una volta a settimana: mai un lamento, una recriminazione. Sempre e solo apprezzamenti per i medici curanti della clinica universitaria del San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona, per il figlio Carmine che ha seguito le orme paterne, per l’adorata figlia Anna Celeste e per la moglie Fiorella, sempre amorevole.
Tutte le volte che mi imbattevo in una questione non chiara gliela sottoponevo e lui o mi spiegava subito o si prendeva il tempo per rifletterci. Non ha mai respinto le domande, sempre era di grande aiuto per la comprensione di qualunque tema. Le ultime due volte che ho provato a chiamarlo era in ospedale e non riusciva a esprimersi in modo comprensibile, ma capiva quello che gli dicevo. Un triste preavviso per la gravissima perdita che stavamo per subire.
1 Comment
Questa notizia mi rattrista molto e mi dispiace non aver partecipato al rito funebre. Ho conosciuto Michele al Rotary Club Picentia ed ho avuto con lui per tutto il tempo sempre un ottimo e simpatico rapporto. Uomo di spessore e di grande cultura, immediato e con garbo ti faceva sentire a tuo agio. Un abbraccio ai familiari
Comments are closed.