di Alfonso Mauro
Le postume fortune di certi artisti sdrucciolano avvinte alle contingenze politiche che i coloro nomi intendano celebrare o proscrivere; e questa la circostanza di Bruckner e Mahler — il primo avendo nel pantheon campeggiato dei compositori prediletti da Hitler, e il secondo nell’Entartete Musik. Ma la non primaria statura del primo fu tale da non riuscir presso il pubblico a oscurarne la popolarità per l’establishment musicale nazista e da quindi decretarne una minor fortuna esecutiva — l’opposto di Wagner. E, quando ciò che a maggio ‘45 era rimasto della radiofonia del Reich diede notizia della morte di Hitler, l’adagio della Settima in mi maggiore (1883) di Bruckner fu trasmesso — già ab origine inteso a elegia funebre per l’adorato Richard. Sorte già toccata quando, nel ‘43, la radio annunciava la sconfitta a Stalingrado. Forse è anche per ravvivarne le fortune che Anton è in tournée con gli Anima Eterna Brugge. Comunque, tra tanto dispendio ravellese, una più fitta guida all’ascolto sarebbe stata utile alla comprensione anche storica del pubblico. Piaccia tuttavia al lettore ritenere tangenziale alla Storia il fosco aneddoto, e ripercorrere anzi gli uditivi passi sulla definizione, di cui al titolo, che Mahler ebbe a dare de lo maggiore suo (“halb Gott, halb Trottel”) — epiteto talvolta rifuggito con altrettanta retorica, ma che ha di sé mostra dato a Ravello: Settima sinfonia, appunto, dell’organista di Sankt Florian, felicemente eseguita dagli Anima Eterna Brugge (belgi affiliati al Concertgebouw di Bruges) agli ordini della bacchetta del pluripremiato direttore spagnolo Pablo Heras-Casado. Maestria sua principalmente trasparsa in alcune scelte personali e nella gestione delle dinamiche e dei raccordi tra gli imponenti blocchi tematici e i motivi brevi spesso iterati con penuria di sonatismo sinfonico e sviluppo d’idee — brucknerismo noto. Sono nel primo movimento, tra durezze bombastiche a quasi-cameristiche liricità, brillati gli archi, sui vibrati e gli ostinati dei quali il vespro si è teso accumulando e rilasciando trepidazione nel susseguirsi degli emozionanti crescendi; di contro, coprotagonista della serata, l’umidità ha afflitto gli ottoni talvolta trasaliti nell’ultimo crescendo del I, nell’adagio, e nello scherzo; e l’acustica non ha favorito neanche la torreggiante quinta degli ottimi contrabbassi. Dopo il febbrile climax dell’adagio, rifulgono i fiati, si redimono gli ottoni (bene le tube wagneriane), e il pizzicato scioglie in lacrime l’orazione funebre del più wagnerista dei wagneriani per il Maestro. Gli ottoni chiudono riprendendo il tema principale con accento silvestre — epifanica la visione montana su Santuario dell’Avvocata e Convento di S. Nicola a Forcella spettrali nella veduta da villa Rufolo. L’adagio, pur rincorsosi leggermente men rallentato di quanto dagli ascolti in Rete abituatici, ha tanto provato gli Anima da imporre una pausa con corale ridare il la, prima dello scherzo vulcanico — forse complice il pubblico impervio agli shhh! degli intolleranti agli applausi tra movimenti. Dopo tante fulgide incrostazioni umorali, Anton allevia gli ultimi movimenti, e l’elettricità si snoda nel danzante ostinatissimo dello scherzo posto in capogiro — benissimo tutti; e i brevissimi assoli di timpano inquietano l’oscurità in cui sembra presagirsi il mefistofelico scherzo della Settima mahleriana. Talis pater…Disciplinati tutti nel trio: emergono quasi inediti, dal vivo, flauti, oboi e clarinetti. Il nitore ossessivo della ripetizione confessa il disturbo ossessivo-compulsivo sofferto dal cattolicissimo “babbeo”: la maniacale urgenza a scandire e contare che lo costrinse a ritiri terapeutici. La tellurica eruzione dello scherzo cede posto al fraseggio leggero e nervoso, spigoloso, del finale nel cui zigzagar di disomogenei incastri meglio ancora si sono imposti governo e visione della conduzione; nell’alternanza d’idee estranee e perpendicolari, cementate insieme da qualche rimando tematico a movimenti precedenti, trova infatti piena espressione la circonferenza che Heras-Casado ha descritto col rigore dell’esperienza e solide scelte proprie. E la “divinità” del piccolo uomo Anton ha saputo effondersi dall’ultimo liturgico crescendo. Poiché Bruckner è sia il campagnolo che infila una moneta in tasca ad Hans Richter per la buona conduzione di una propria sinfonia, o lo scapolo che inanella collezioni di proposte di matrimonio a giovani; sia il campione dei wagneriani che dedica a Dio la sua Nona misticissima incompiuta, e che ebbe a dire, di numerose danze folkloristiche (Brahms?), che si possono dipingere coloratissime salsicce… ma salsicce restano… Alcune conduzioni e performance (nonché alcuni articoli di giornale d’occasione) si ripropongono d’epurarne l’umanità a giovamento della celebrazione inerte; a noi è piaciuto invece il Dio nel babbeo, e il babbeo nel Dio. Un validissimo ascolto. Tra la gragnola d’applausi, qualche Bis! ma Klingsor era già echeggiato d’un amen; e si è defluiti con quell’amarognolo che sa farsi contento.