A due anni dalla scomparsa del clarinettista vietrese, oggi, alle ore 18, nel corso di un incontro nel Salone di rappresentanza di Palazzo di Città di Cava de’ Tirreni, sarà presentato il volume delle sue immagini di viaggio dal titolo “Sempre meglio che lavorare”
Di AMBRA DE CLEMENTE
Ogni viaggio è, nella sua essenza, un movimento da un punto a un altro. Geografico, di norma, ma anche interiore. Esistono modi di viaggiare innumerevoli, quanti gli occhi che osservano il mondo. Viaggiare è accostamento, ricerca, scoperta, approdo, tappe, mai meta, vacanza, ozio, avventura. A due anni dalla scomparsa del clarinettista Giovanni Procida, la moglie Alessandra Sciarelli e la figlia, Carla, unitamente agli amici Maria Teresa Schiavino, hanno inteso raccogliere in un volumetto le immagini dei “viaggi musicali” della coppia di musicisti, dal titolo “Sempre meglio che lavorare”, che verrà presentato giovedì 15 febbraio, alle ore 18, nel corso di un incontro presieduto dalla docente Rosanna De Rosa e dalla giornalista Olga Chieffi, con un intermezzo musicale affidato al violino di Alessandra Sciarelli e al pianoforte di Vincenzo Lisena, ospiti del Salone di rappresentanza di Palazzo di Città di Cava de’ Tirreni. Le fotografie scattate da Giovanni, a New York, in Brasile, in giro per il mondo, sono commentate dalla sua compagna d’arte e di vita, la violinista Alessandra Sciarelli. Fotografia, vuole l’etimologia, è “disegnare con la luce”. Un modo di riorganizzare e fermare – in un fotogramma – l’esperienza di un momento, una porzione del mondo che ci circonda, attraverso una combinazione di tempi e diaframmi, volumi e atmosfere. Fotografare è sempre raccontare qualcosa. In viaggio, pezzi di esistenza, brani di paesaggio, storie improvvisate, che vengono narrate con pregnanti interventi anche da Alessandra. Lo spettacolo reale affascina, grazie all’imprevisto, all’inverosimile, all’impossibile al quale è legato. Giovanni e Alessandra, quali fotografi di luce e di penna, hanno spiato l’istante stesso in cui esso nasce. La fotografia racconta la storia, la penna penetra, l’atmosfera, le sensazioni l’accadimento, in un lavoro di memoria che sarà documento e specchio di un periodo ferace e fattivo della loro vita. Un volume, questo di Giovanni e Alessandra, con un unico obiettivo attraverso il quale approdare a un reale che restituisca qualcosa di una drammaturgia segreta nella quale la danza dell’immagine si salda al racconto. Una tale memoria, raccolta in anni di attività “sul campo” è un fardello, e, tuttavia, non intacca in nulla la cosa che vive, e che passa: le immagini, come la musica, hanno bisogno di “incrociare” lo sguardo, il giudizio, il dubbio del pubblico, per esistere. Si deve restituire ora all’artista la libertà che regala al nostro sguardo, lasciando che le immagini scivolino sotto i nostri occhi, senza spingerle.