Oggi alle ore 11,30 verrà inaugurata presso Il Catalogo la mostra dedicata alle incisioni, acqueforti, litografie di alcuni degli artisti più importanti che in 49 anni hanno esposto nella galleria salernitana.
Di OLGA CHIEFFI
La grafica storica, che ha segnato la seconda metà del Novecento, sarà ospite da stamane, della galleria Il Catalogo di Lelio Schiavone e Antonio Adiletta. E’ nota agli addetti ai lavori, quella corsa frenetica al consumo, che ha comportato, a volte, vere frodi per ciò che riguarda l’esecuzione della matrice e della tecnica di stampa, a volte eseguiti solo con i mezzi fotomeccanici, col tacito benestare degli stessi artisti. Opere grafiche di grandi autori, i quali hanno frequentato la galleria impreziosendo le 49 stagioni espositive, lavori sorti dalla lenta e rigorosa partecipazione diretta e creativa dell’ artista, sulla stampa in divenire, sono rimasti nel corso degli anni “invisibili” al pubblico. Una tale importante memoria è, oggi, un grande e dolce carco. Le opere d’arte, così come i piccoli uccelli, hanno bisogno di uscire dalle custodie per esistere ai sensi del pubblico. Si deve restituire all’artista la libertà che regala al nostro sguardo. La grafica d’autore, incisioni, acqueforti, litografie, acquetinte sono spesso qualcosa che l’artista produce innanzitutto per se stesso, nella tranquillità del proprio studio, per l’esigenza intima di sperimentare una tecnica antica dai risultati estetici sorprendenti. L’immenso lavoro della preparazione della lastra o della pietra, dell’affumicatura della cera, dell’incisione e della successiva morsura nell’acido, poco si confà ad un modello di società che vuole imporre anche nella produzione dell’artista tempi di esecuzione certi e rapidi. Ed è proprio ciò che rende queste tecniche così affascinanti e coinvolgenti, meditative. La grafica mette in evidenza l’essenziale delle forme, focalizza l’attenzione dell’osservatore sulla struttura dei soggetti e sui singoli elementi che lo compongono, esalta l’assenza di tempo, brucia l’istante. La realtà, quindi, si astrae e si rarefà. Soggetti concreti colti in assenza di tempo e movimento, o meglio nel bel mezzo della loro azione, senza però, mostrare gli sviluppi della stessa. Vedremo esposte al Catalogo opere grafiche di firme amiche dello spazio espositivo cittadino: le surreali figure nei linoleum di Mino Maccari, i luoghi senza tempo di Virgilio Guidi, le morbide donne di Emilio Greco, quella di Gentilini, che riprende un’espressività marcata e basata su una certa tendenza all’armonizzazione delle tinte, il nudo femminile di Bruno Cassinari il quale, mantenendo un contatto non marginale con la tradizione, pone la donna quale simbolo di una solitudine metafisica, l’ atteggiamento disincantato, in cui lo sguardo assente proietta all’interno dell’ anima della donna di Francesco Messina, lo spaesamento, il mistero laico della sua disperata consapevole Bellezza. E ancora, la dilatata decomposizione della natura di Ennio Morlotti e le forme mentali e pure dell’astrazione di Afro, la cruda raffigurazione di Renzo Vespignani, ci accompagneranno alla riscoperta di un segno “altro” che ha impreziosito il lungo percorso della galleria. Due le opere di Renato Guttuso, che si confrontano con i segni di Capogrossi, Migneco, Purificato e Cantatore, “Tetti di Bagheria” e un interno, una “Natura morta”, stupefacenti per bellezza cromatica e incisività: sparsi alla rinfusa, arance e limoni poveri oggetti consumati dal tempo simboli di una realtà umile e laboriosa, il decoro e la dignità di una semplicità perduta.