Matera: Punti nascita, come evitare la chiusura - Le Cronache Ultimora
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Matera: Punti nascita, come evitare la chiusura

Matera: Punti nascita, come evitare la chiusura

«È necessario intervenire immediatamente per evitare la chiusura, ma al contempo avviare un iter normativo per modificare le disposizioni del Decreto Ministeriale 70 del 2015, che oggi appare superato e non più rispondente alle reali esigenze dei territori». Lo ha detto il consigliere regionale Corrado Matera che da tempo si batte contro la chiusura dei punti nascita di Polla e Sapri. L’onorevole Matera, proprio in questi giorni, si è reso protagonista di due incontri territoriali per affrontare la questione, ascoltare i cittadini e garantire massimo supporto in questa battaglia che, dice, «non deve avere colore politico».

Consigliere Matera, ancora una volta si paventa la chiusura dei punti nascita di Polla e Sapri. Qual è la sua posizione in merito?

«Da anni ci troviamo a dover fronteggiare lo stesso problema, con una preoccupazione crescente per le conseguenze che potrebbe avere sui territori interessati. Non possiamo continuare a navigare nell’incertezza: è arrivato il momento di dare una risposta definitiva e strutturale, senza esitazioni».

In che modo si può intervenire per scongiurare questa chiusura?

«La soluzione passa necessariamente per un accordo trasversale tra tutte le forze politiche, a prescindere dall’appartenenza partitica. La salute non ha colore politico e non può essere oggetto di divisioni ideologiche. È necessario intervenire immediatamente per evitare la chiusura, ma al contempo avviare un iter normativo per modificare le disposizioni del Decreto Ministeriale 70 del 2015, che oggi appare superato e non più rispondente alle reali esigenze dei territori».

Perché ritiene che il Decreto Ministeriale 70 del 2015 sia ormai superato?

«Non condivido il criterio secondo cui superata la soglia delle 500 nascite l’operatività di un punto nascita è considerata sicura, mentre al di sotto di tale numero (499) non lo è. È una valutazione puramente numerica che non tiene conto di altri fattori fondamentali, come la qualità del servizio, la preparazione del personale, la dotazione tecnologica e l’accessibilità ai presidi alternativi.

La sicurezza va misurata sulla base di parametri oggettivi e non su un calcolo matematico che non riflette la realtà delle esigenze territoriali».

Quali contraddizioni normative emergono in questa vicenda?

«Esiste una chiara disparità di trattamento: da un lato, le normative nazionali riconoscono la necessità di tutelare le aree interne e periferiche, garantendo loro servizi essenziali come la sanità; dall’altro, lo stesso Stato impone la chiusura di punti nascita in zone già svantaggiate, aggravando il problema dello spopolamento e limitando il diritto alla salute dei cittadini. Non si può da un lato finanziare il rilancio delle aree marginali con il PNRR e dall’altro privarle di servizi vitali. Questa incoerenza va sanata».

Pensa che i punti nascita di Polla e Sapri verranno chiusi?

«Dal 2018, insieme al Presidente De Luca, abbiamo sempre difeso con determinazione questi presidi, consapevoli della loro importanza strategica per il territorio. Tuttavia, questa volta la situazione è più complessa, perché si intreccia con le condizioni necessarie per l’uscita della Campania dal piano di rientro sanitario. La battaglia richiede un impegno ancora più incisivo da parte di tutti».

Cosa cambia rispetto al passato? Perché questa volta è più preoccupato?

«Negli anni scorsi la Regione ha sempre garantito una deroga alla normativa nazionale, assumendosi la responsabilità politica e amministrativa di mantenere aperti i punti nascita. Oggi, però, la questione è legata a un aspetto più ampio e delicato: l’uscita della Campania dal piano di rientro sanitario.

Dopo oltre dieci anni di commissariamento, nel 2020 la Campania ne è uscita formalmente, ma per completare definitivamente questo percorso è necessario uscire dal piano di rientro condizionato ad eliminare alcune criticità individuate dal Governo. Tra queste, c’è proprio la riduzione dei punti nascita con meno di 500 parti annui».

Quali sarebbero le conseguenze se la Campania non uscisse dal piano di rientro sanitario?

«Se la Regione non riuscisse a uscire dal piano di rientro, l’intero sistema sanitario campano subirebbe un grave contraccolpo. Questo si tradurrebbe in minori investimenti, ridotte assunzioni di personale sanitario, limitate possibilità di potenziare strutture e servizi, oltre a una diminuzione delle premialità, con conseguenze dirette su tutti gli ospedali del territorio, inclusi quelli di Polla e Sapri. Si tratta di un vincolo che rischia di compromettere l’intera sanità regionale e che dobbiamo superare attraverso un’azione politica forte e condivisa».

Quali azioni sono state intraprese per scongiurare la chiusura dei punti nascita?

«Consapevoli della centralità dei punti nascita per la salute materno-infantile e dell’importanza di garantire un’equa distribuzione dei servizi sanitari, abbiamo portato la questione all’attenzione del Consiglio Regionale. Grazie a un confronto trasversale, è stato approvato all’unanimità un ordine del giorno, sottoscritto da tutti i capigruppo di maggioranza e opposizione, che impegna la Regione a sollecitare il Governo per individuare soluzioni concrete volte a preservare l’operatività dei punti nascita.

Questo atto politico rappresenta un segnale chiaro della volontà istituzionale di scongiurare la chiusura delle strutture a rischio, superando le rigidità normative attuali e garantendo una revisione dei parametri sulla loro sostenibilità, tenendo conto delle specificità territoriali e delle reali esigenze della popolazione».

Qual è il suo appello alle istituzioni e alla politica?

«Il mio appello è rivolto a tutte le forze politiche e istituzionali, indipendentemente dall’appartenenza partitica. Oggi più che mai serve una mobilitazione generale per modificare una normativa che non risponde più alle reali esigenze del territorio. Non possiamo accettare che si metta una Regione nella condizione di dover scegliere tra il mantenimento di un punto nascita e altri investimenti essenziali per la sanità pubblica. Questa non è una battaglia di bandiera, ma una battaglia di civiltà. La tutela della salute deve essere un obiettivo comune, senza distinzioni ideologiche. La politica deve dimostrare unità e senso di responsabilità, perché la sanità pubblica non può essere ostaggio di numeri e tecnicismi burocratici».