Manlio Rossi Doria: è lui l’ultimo allievo di Giustino Fortunato - Le Cronache
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Manlio Rossi Doria: è lui l’ultimo allievo di Giustino Fortunato

Manlio Rossi Doria: è lui l’ultimo allievo di Giustino Fortunato

Il Sud dell’Osso e della Polpa, il Sud dei contadini, il Sud dei suoi uomini migliori, come il giovane Rocco Scotellaro salvato dai marosi della politica politicante, ed estratto dalla sua Tricarico e mandato a Portici a studiare agraria. La “politica come mestiere” mai disgiunta da una formazione professio0nale di altissimo profilo. La recente scomparsa di Mimmo De Masi ci ha riportato alle grandi figure del meridionalismo militante. Un gigante, su questi orizzonti fu Manlio Rossi Doria, già all’interno del gruppo che gestì la bonifica idraulica e poi integrale nella Piana del Sele, degli anni Venti e Trenta del Novecento, da grande “tecnico” di note simpatie politiche socialiste ed antifasciste,  Da Portici a Washington passando per Città del Messico. Dalle campagne brulle di Santa Maria la Bruna alle immense estensioni del Brasile. Dalla Piana del Sele ai calanchi lucani. Veniva da lontano Rossi Doria. Riformismo e New Deal, civiltà contadina e slancio modernizzatore, un saggio di Simone Misiani (Manlio Rossi-Doria, un riformatore del Novecento, pagg. 722, euro 30, Rubettino editore) ricostruisce la vicenda umana e politica del grande meridionalista. Che può essere — ed è forse il senso implicito di questa storia — un modello per chi, al Sud, non si sente appendice del mondo, ma parte di esso in un paese unito. La biografia di Rossi-Doria si dipana come un racconto. È nel rapporto con il padre Tullio, medico, socialista, che nasce l’impegno di Manlio. È la Roma dei primi del ‘900, guidata dal sindaco Ernesto Nathan, che realizza esperimenti di riformismo sociale nella campagna capitolina. La Grande Guerra segna la cesura con il mondo del padre. Poi l’amicizia con i fratelli Emilio, Enzo ed Enrico Sereni e, al liceo, le lezioni del sacerdote Ernesto Bonaiuti, che indicano a Rossi-Doria la strada dell’intransigenza morale e l’utopia di un ritorno al cristianesimo delle origini. Ma il dialogo con i fratelli Sereni è anche attenzione alla rivoluzione russa, analisi politica del marxismo. Nei primi anni del fascismo, tra il 1923 e il 1924, Rossi-Doria si converte al cattolicesimo, separando sempre con nettezza sfera laica e sfera religiosa, e aderisce a un meridionalismo, in cui i contadini diventano figure centrali, il soggetto storico che porta con sé valori di vita migliori.
La svolta è nel 1924, quando Manlio si iscrive all’Istituto superiore agrario di Portici con Emilio Sereni. La scelta meridionalista si sposa con l’esigenza di acquisire le conoscenze tecniche necessarie per riformare la società. La riforma agraria come veicolo di democrazia nell’Italia scossa dall’autoritarismo, ecco il progetto. La crisi dello Stato liberale piegato dal fascismo può essere risolta solo partendo dal Mezzogiorno. Si sviluppa in questi anni la frequentazione con Giustino Fortunato, salernitano di Castiglione trasferitosi a Melfi, e Benedetto Croce: “Me lo rivedo ancora, don Giustino, sulla sua poltrona, con l’occhio annebbiato dalla cataratta, col viso mobilissimo e qualcosa di giovanile, nell’impetuosità dei gesti e delle frasi…”. Sono gli anni tempestosi del graduale abbandono del cattolicesimo, della conversione al comunismo, nuova fede che soppianta la vecchia. La questione del Mezzogiorno nell’Italia dominata da Mussolini si risolve con la rivoluzione bolscevica, lo spirito risorgimentale di Mazzini si perpetua nell’ideologia marxista-leninista. Assunto all’osservatorio di Portici dell’Inea, il centro di rilevazione statistica rurale per il Sud, Rossi-Doria conosce Irene Nunberg, la sua prima compagna, e si trasferisce con lei a Villa Passaro a Resina. L’attività clandestina nel Partito comunista lo conduce in carcere, dal 1930 al 1936. Il suo lavoro alla bonifica della Piana del Sele non lo salva dal confino ad Avigliano e a San Fele, sempre ricorderà «la vita di paese con i contadini e i pochi confinati, con la speranza crescente della fine del fascismo», con Camilla Ravera, che, destinata a Montalbano Jonico, fu trasferita a San Giorgio Lucano, dove tra il dicembre del 1936 e il maggio dell’anno successivo, scrisse il bel romanzo “Una donna sola”. Il distacco di Rossi Doria dal comunismo è graduale ma inevitabile, fino all’espulsione nel 1938, via via che cresce l’avversione per ogni manifestazione di totalitarismo. Seguono un nuovo arresto nel 1940, il confino, l’adesione al Partito d’Azione nel 1943. Il tentativo, dopo la guerra, di rafforzare l’anima occidentale del socialismo italiano per costruire un partito riformista di massa. Intuizione giusta, ma troppo in anticipo sulla politica. Infine la scelta perseguita fino all’ultimo dell’impegno sociale come “mestiere”, ovvero “fare liberamente quel che ho fatto nei campi che mi erano propri, la politica agraria e l’azione meridionalista”. Da qui la collaborazione con il governo De Gasperi e con gli esperti del governo americano in giro nelle province meridionali, per trapiantare in Italia l’esperienza del New Deal e realizzare la riforma agraria. Un impegno che si arresta quando la Democrazia Cristiana più che pensare ai poderi dei nuovi contadini da professionalizzare assume il volto dei monopoli della Federconsorzi contro i quali una delle voci più efficaci che si leva è proprio quella di Rossi Doria. Che manterrà la sua impronta di uomo della sinistra moderna e sìimpegna nel rilancio del movimento federalista europeo di  Altiero Spinelli. Rossi Doria conserva anche un rapporto sempre vivo con il pur spigoloso Giorgio Amendola. I soggiorni negli Usa, dove conobbe la seconda moglie, Anne Lengyel. I viaggi in Messico e in Brasile come consulente del Fao per la riforma agraria. La trasformazione della Scuola di Portici in un centro di cultura internazionale, frequentato da antropologi, geografi, urbanisti di tutto il mondo: mai i paesi vesuviani hanno condiviso con questa intensità uno spirito cosmopolita. La partecipazione alla rivista “Nord e Sud” rafforzò il legame tra atlantismo, europeismo e meridionalismo. L’adesione al Psi, l’elezione in parlamento negli anni ‘70, da senatore “dell’Alta Irpinia” dell’osso e la delusione per la politica clientelare delle classi dirigenti del Sud e per i risultati dell’intervento straordinario della Cassa per il Mezzogiorno. Dopo il sisma dell’80 in Irpinia Rossi-Doria guidò in quei luoghi l’editore Giulio Einaudi e il sindaco di Torino Diego Novelli. Lo spreco di risorse e i deludenti risultati della ricostruzione lo spinsero a dire: “Apprezzato a parole sono rimasto ancora una volta – come ai tempi della riforma agraria – sconfitto nei fatti”. Come tutti quelli che vedono prima degli altri, Rossi-Doria si trovò solo, estraneo a quella politica. Sconfitto, appunto. Ma aveva indicato, soprattutto ai giovani, con la lungimiranza del maestro, la giusta strada del Sud. Fin dagli anni universitari dedica il proprio impegno al mondo agricolo e alle questioni del Mezzogiorno – ed è per questo considerato uno dei principali interpreti del pensiero meridionalista. Quando nel 1944 diventa Professore di Economia Agraria a Portici, la sua missione di docente e di politico impegnato si avvale di idee e strumenti innovativi, coniugando analisi, approccio interdisciplinare, applicazione pratica e impegno politico con la speculazione teorica. Da questa data iniziano i Dialoghi epistolari 1944 – 1987 , contenuti nella raccolta Una vita per il Sud – Donzelli Editore – a cura di Emanuele Bernardi. È una raccolta di 109 lettere scritte e ricevute da Rossi Doria tra il 1944 e il 1987, che consentono di ricostruire le tappe principali della sua vita nell’Italia democratica. Il motivo conduttore è il suo impegno per il Sud. Attraverso i dialoghi con alcune delle figure più importanti della scena politica e intellettuale del nostro paese – da Norberto Bobbio a Antonio Giolitti, da Rocco Scotellaro a Emilio Sereni – matura infatti una linea di pensiero che si sostanzia nell’idea di un Sud dove avviare un più equilibrato sviluppo economico e civile, che coniughi coesione sociale, infrastrutturazione e difesa del territorio. Questa raccolta di lettere ci permette di seguire nella sua interezza tutta la sua vita di intellettuale, ricostruendo il rapporto tra lo studioso di economia agraria e il militante politico. Rossi-Doria è stato un politico anomalo ed un intellettuale non conformista: prima giovane militante comunista, poi, durante la Resistenza e dopo la guerra, protagonista nella vita del Partito d’Azione e poi dal 1948 impegnato nella opera della trasformazione dell’agricoltura meridionale culminata con la legge di riforma agraria.

Dalla seconda metà degli anni Cinquanta fino agli anni Ottanta è stato protagonista critico nella vita interna del Partito socialista, partecipando alla stagione delle riforme degli anni Sessanta e Settanta, denunciandone i limiti con le sue analisi scomode, senza abbandonare mai il suo ottimismo di fondo.Ha sempre posto in primo piano il problema della mancanza in Italia di un partito riformista di massa e denunciato l’inadeguatezza delle classi dirigenti. Da questi “Dialoghi epistolari” si trae un profilo completo della vita e dell’azione politica di Rossi-Doria, includendo l’ambiente culturale e le ideologie: il senso della libertà crocianamente intesa e la soggettività nella storia, così come i legami, che tengono unita la vicenda del meridionalismo italiano con la storia della democrazia nel Novecento. Minuziosa e appassionata la raccolta di lettere ci porta a contatto diretto con una vicenda umana e politica fuori dal comune e ne conferma a un tempo l’importanza e il fascino.
Oreste Mottola