Luca Iovine: “Salerno è una bella città ma può essere favolosa” - Le Cronache
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Luca Iovine: “Salerno è una bella città ma può essere favolosa”

Luca Iovine: “Salerno è una bella città ma può essere favolosa”

di Matteo Gallo

C’era una volta una bella città e c’è ancora. Si chiama Salerno, ha due splendide costiere che l’abbracciano con naturalezza e il mare come specchio. L’incipit della storia-riflessione porta la firma di Luca Iovine, imprenditore nel settore dei servizi, consulente d’azienda, formatore e divulgatore. Nonché fondatore dell’omonimo gruppo con sedi in Campania, Trentino Alto Adige e Lazio. «Salerno era e resta una bella città» afferma senza tentennamento alcuno. Aggiungendo: «Ma potrebbe essere favolosa, non solo bella. E non lo è. Ancora…».    

Iovine, cosa manca alla città per trasformare questo finale aperto in un lieto fine?  
«Manca sicuramente la disponibilità a viverla in maniera più sostenibile, ad esempio con  un minore utilizzo di auto e andando in bici senza necessariamente aspettare l’organizzazione di una manifestazione  – che resta preziosa e lodevole - una volta all’anno. La nostra città, se attraversata più lentamente, apparirebbe ai nostri occhi ancora più bella».

Una Salerno poco città “europea”…  
«Per essere una vera città europea dovrebbe diventare più green. In tutti i sensi. In Italia l’Alto Adige, che per motivi professionali conosco molto bene, è una regione modello per l’equilibrio uomo, natura, economia. Con le dovute proporzioni e differenze, quel modello di vita è esportabile anche da noi».   

Cosa avrebbe potuto e dovuto fare di più chi governa la città da ormai trent’anni?
«La politica ha un ruolo attivo e protagonista anche nel cambiare la cultura di una città ma il ruolo dei cittadini non è affatto da meno. Tutt’altro. Dare sempre la colpa alla politica non mi piace e soprattutto non mi convince perché, alla fine, diventa un alibi che lascia invariate le cose. Ognuno di noi, invece, ha la possibilità di migliorare ciò che ha intorno.  Se i cittadini cominciassero a ragionare e a comportarsi in un certo modo,  in questo caso manifestando e operando con una chiara volontà-direzione votata alla sostenibilità, la classe politica non potrebbe fare altro che adeguarsi e mettersi in sintonia. Il risultato? Un impatto positivo, imponente, garantito. E soprattutto reale».

Questo effetto-traino virtuoso non esiste?
«Non è ancora abbastanza ma, per fortuna, ci sono segnali importanti in questa direzione.  Sono tanti, ad esempio, i gruppi di cittadini e le associazioni che si occupano di trekking urbano.  Abbiamo la fortuna di avere dei percorsi bellissimi che godono di una vista mozzafiato sul mare, come quello che porta alla Croce di San  Liberatore. Purtroppo queste aree non sono attrezzate adeguatamente con una serie di servizi – tipo i  punti di ristoro  –  che darebbero la possibilità  ai cittadini e ai turisti di vivere la città di Salerno in maniera diversa. Esiste una potenziale offerta turistica alla quale non si pensa mai. Un altro tipo di turismo, non vincolato al periodo estivo, che ci consentirebbe di allungare sul serio la stagione turistica».  

Come mai, da questo punto di vista, latitano il pensiero e di conseguenza l’azione?
«C’è un deficit di consapevolezza. Non esiste la consapevolezza della bellezza che ci è stata donata da Madre Natura. Una bellezza che andrebbe vissuta – ripeto –  dai turisti ma anche dagli stessi cittadini».  

Il turismo, insomma, è il futuro di Salerno?
«Assolutamente sì. In effetti avrebbe dovuto essere anche il suo passato. Detto questo, bisogna dare merito a Vincenzo De Luca di aver radicato, in un certo senso quasi “imposto” fin dal suo primo sindacato nei primi anni Novanta, l’idea di una Salerno città turistica. ll lavoro non è stato completato e forse non è nemmeno a metà. Ma da quel momento la città ha cominciato a pensarsi turistica, ad averne consapevolezza. Adesso, però, è la città che deve cambiare passo». 

Nonostante la generosità di Madre Natura, e le sue potenzialità turistiche, la città registra da anni una stabile contrazione demografica. Sono in particolare le giovani e nuove generazioni  ad andare via.
«Esiste senza dubbio un problema di occupazione giovanile, rispetto al quale innanzitutto la classe di governo nazionale è chiamata a impegnarsi con efficacia, senso di responsabilità e zero retorica. Detto questo, anche i giovani devono essere più protagonisti del territorio. Abbiamo tanto potenziale in città. Ci vuole coraggio a investire su se stessi». 

Come ha fatto lei…
«Mi sono laureato con  il massimo dei voti in Economia all’Università di Salerno, ricevendo un premio nazionale dalla Regione Lombardia per la mia tesi di laurea. Ero giovanissimo e, subito dopo, rifiutai delle offerte di lavoro in ambito finanziario, da Milano,  perché  convinto che qui da noi ci fossero maggiori prospettive di crescita. A Milano, molto probabilmente, sarei stato uno dei tanti che lavorano in banca. Ho avuto ragione a restare. Ma il lavoro me lo sono creato, e senza alcun aiuto da parte della politica. Ai giovani, oggi, viene purtroppo ripetuto con insistenza che sul nostro territorio non si può fare nulla e che bisogna per forza andare via per realizzarsi professionalmente. Non è così».

Lei cosa propone?
«Sicuramente l’alternanza scuola-lavoro può favorire un maggiore collegamento tra i percorsi di studio, il mondo del lavoro e il territorio. Ma devo anche sottolineare che da questo punto di vista esiste anche tanta retorica sbagliata. I giovani non vanno mai sfruttati. Punto. Resta però importante per loro acquisire sul campo, facendola propria, la cultura del sacrificio, della gerarchia e del rispetto degli impegni. Io ho sempre lavorato, fin da ragazzo. Questo mi ha aperto la mente e allargato gli orizzonti. Mi ha fatto crescere umanamente e professionalmente».  

Quale, invece, il ruolo dell’Università?
«L’Università dovrebbe innanzitutto formare in sintonia con la realtà del proprio territorio. Prendiamo la facoltà di economia, che ho frequentato a  Fisciano. Il nostro tessuto economico è composto soprattutto da piccole e medie imprese. Se la formazione universitaria segue il modello della grande industria italiana che però, fatta qualche eccezione, qui da noi non esiste, è evidente la distanza tra i futuri professionisti – commercialisti e consulenti del lavoro ad esempio – e la realtà imprenditoriale autoctona. Studiare economia a Milano dovrebbe essere diverso da studiare economia a Salerno. Se così non è, una volta terminati gli studi, bisogna per forza trasferirsi altrove per lavorare». 

1 Commento

    Ha perfettamente ragione, solo stanco provincialismo.
    L’obiettivo è avere un reddito per soddisfare le minime necessità., Senza sacrificio senza senso sociale

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