L'inchiesta. Genitori adottivi nella morsa del sistema delazioni, calunnie e un muro di gomma - Le Cronache
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L’inchiesta. Genitori adottivi nella morsa del sistema delazioni, calunnie e un muro di gomma

L’inchiesta. Genitori adottivi nella morsa del sistema delazioni, calunnie e un muro di gomma

di Peppe Rinaldi
Sintesi della precedente puntata: una coppia di coniugi originari di un grosso centro della provincia adotta due bimbi stranieri, compra casa in un comune dell’Agro e vi si stabilisce. Sotto il loro appartamento c’è una fabbrichetta di prodotti alimentari i cui scarichi rendono intollerabile l’ambiente e la convivenza. Si scopre che l’azienda non è in regola con la normativa, sostanzialmente è abusiva, si finisce in tribunale e la famiglia comincia ad essere oggetto di varie rappresaglie che, a valle, sfoceranno in delazioni e accuse sull’allevamento e le condizioni di vita dei bambini stranieri adottati, due fratelli, un maschio e una femmina. Finché, un giorno, busseranno alla loro porta di casa due operatori dei servizi sociali con in mano un atto della procura dei minori. Da quel momento nulla sarà più come prima: la coppia sarà al centro di un incastro perverso di meccanismi giudiziari azionati “a vanvera” (eufemismo), vendette anonime, dipendenti pubblici mal attrezzati, muri di gomma istituzionali e sordità varie. Tutto ciò determinerà la peggior conseguenza immaginabile: la proditoria aggressione burocratico-giudiziaria della famiglia, infatti, scatenerà in uno dei due figli una reazione altrettanto malata, nel senso che quelle circostanze traumatiche faranno da detonatore per l’esplosivo che covava già dentro la mente di una persona in fase di pubertà e prossima all’adolescenza con un vissuto di tragedie e dolori, peraltro molto diffusi tra gli orfani o gli abbandonati, specie se provenienti da contesti difficili. Agli occhi della ragazzina, di poco più grande del fratello, l’immagine e il ruolo di mamma e papà usciranno demoliti, sviliti, vilipesi fino all’irrilevanza: l’esito è terribile, la ragazzina inizia a sbarellare, recalcitra, scalcia, non ne vuol sapere di rigar dritto, inizierà a odiare tutti, soprattutto la madre adottiva, con ciò evidenziando un disagio psicologico più che comprensibile. Le adozioni sono difficili anche per questo. Nessun problema con il fratellino più piccolo, che vive normalmente e ben si inserirà nel contesto familiare, scolastico e sociale: segno che il cuore di tutto è l’equilibrio instabile della ragazzina e non la famiglia come invece sembrerebbero congiurare le cose. Ma continuiamo dal punto in cui ci eravamo fermati.
Era all’incirca l’ora di pranzo del 9 maggio 2019 quando due operatori dei Servizi sociali bussano alla porta della coppia. Inutile dire che fossero due donne (i servizi sociali italiani, come la scuola, sono ormai abnormi ginecei), un’assistente e un’educatrice. Esibivano un documento su carta intestata della procura minorile di Salerno. Che diceva questo documento?
A quanto è stato possibile ricostruire – la coppia non parla coi giornalisti, e non ha tutti i torti – le due signore si erano presentate perché la magistratura aveva ordinato di svolgere «un’indagine». Come vedremo, tutto nasceva per iniziativa dell’ufficio comunale, sollecitata con formule irrituali e, diremmo, “artigianali” ma, soprattutto, nel contesto della vertenza amministrativo-giudiziaria in corso relativa alla canna fumaria molesta. «Post hoc, propter hoc», l’antico brocardo sembra trovare ulteriore riscontro soltanto un mese dopo.
NIENTE SPIEGAZIONI
Infatti, niente spiegazioni, nessun dettaglio, le ragioni le conoscevano soltanto loro e, forse, il magistrato sulla cui scrivania era giunta un’istanza di sopralluogo che andava solo firmata e poi si sarebbe visto. Certo, quando si indaga non si possono fornire troppe spiegazioni agli indagati, è un principio generale che, però, in questo caso comporterebbe limitazioni serie per la particolarità del caso nonché per la fattispecie genericamente intesa. Ma non è questo il punto vero della questione, contano le ragioni di fondo che hanno azionato il tutto.
Intanto i due si lasciano interrogare, scrutare, osservare dalle operatrici, le quali, alle legittime richieste di capire cosa stesse accadendo, peraltro in casa propria, oppongono mille ragioni o ne omettono altrettante. Un gioco che, forse, così va nel mondo della giurisdizione minorile. Forse. Alla fine il colloquio/interrogatorio si conclude e le due operatrici se ne vanno rassicurando sul buon esito della pratica e senza evitare di fare grandi complimenti alla famiglia. Naturalmente, non si sono rivelate autentiche né le rassicurazioni né la promessa di uno sbocco positivo dell’istruttoria: infatti, circa un mese dopo, a giugno, il tribunale per i minori di Salerno apre un procedimento per la limitazione della responsabilità genitoriale (art.333 Cc), che si ha quando i genitori di un minore rappresentano un pericolo per la crescita della prole ma non in misura tale da doverne essere da essa allontanati. L’affare inizia ad ingrossarsi, come si dice. In effetti, dalla pratica in corso emergerà che era stata proprio la relazione delle due “tecniche” dei servizi sociali a innescare la miccia. Ma dove nasceva, da cosa originava, chi si era peritato di dire cosa alle due operatrici tanto da stilare un rapporto fortemente negativo? Scava e scava, vien fuori che non era stato nessuno, si trattava di segnalazioni anonime come spesso accade in questo e in altri ambiti giudiziari. Che dicevano queste segnalazioni? Parlavano di violenze, soprusi, perfino di abusi fisici e psicologici di mamma e papà in danno dei due bambini stranieri adottati. Roba da far accapponare la pelle, insomma. Sia chiaro: non è che non accadano queste cose, anzi, ne accadono perfino di peggiori ma si verificano, al tempo stesso, anche “malintesi” determinati da approssimazione, ignoranza strutturale degli operatori (molto diffusa), cedimento al pettegolezzo, suggestioni ideologico-culturali, scarsi o nulli riscontri alle ipotesi iniziali, tutti elementi che causano tragedie personali e familiari da cui sarà poi difficilissimo guarire. La vicenda mediaticamente nota come “il caso Bibbiano” ne è plastica conferma, anche se non è necessario andare troppo lontano per trovarne di analoghe. Non ci fu solo la relazione delle operatrici in quanto tale: al suo interno si faceva anche riferimento a informazioni scolastiche relative alla ragazzina, all’epoca ancora dodicenne e oggi diciassettenne – quindi ancora minorenne – dove pure il quadro rappresentato evidenziava elementi di ambiguità, nonché alle condizioni psicologiche di uno dei due genitori descritto come affetto da problemi per i quali era in corso una specifica terapia. Quindi siamo dinanzi a una coppia che, dopo essere stata rivoltata come un calzino e passata ai raggi X nelle fasi del rigido iter per l’adozione, dal quale è uscita in possesso di tutti i requisiti morali, psicologici, economici, professionali, sociali per meritarsela, si ritrova descritta nei medesimi ambiti istituzionali per il suo esatto contrario. Mistero.
IL CASO SI INFITTISCE
La curiosità del cronista, ovviamente, aumenta dinanzi a tante sfumature simultanee. Certo, può succedere di tutto nella vita, chi sembrava bianco alla fine è risultato nero o viceversa ma qui pare che le cose abbiano un sapore diverso. La frittata intanto è fatta, i riflettori si sono accesi su questa famiglia e le “carte”, si sa, viaggiano in automatico. Il procedimento per la limitazione della potestà genitoriale, basato sulla relazione delle operatrici, entra nel vivo, si inizia a scendere nel merito, dove se ne vedranno delle belle: infatti, quando le assistenti sociali furono convocate in aula dal giudice si incartarono, non furono in grado di spiegare alcunché, fu un festival di «non ricordo bene», «…sì, forse no, mi pare che…», non furono in grado di indicare in cosa consistessero i pericoli per i bambini, né da dove nascessero le segnalazioni, chi le avesse fatte, quando dove e perché, fino a sfociare in un esilarante quanto tragico esito: «Ah sì, ora viene in mente, ci era arrivata una telefonata anonima». Insomma, per limitare la responsabilità genitoriale questo impianto appare alquanto debole, per non dire altro.
PROCEDIMENTO
ARCHIVIATO
Infatti il giudice chiuderà il procedimento scrivendo nell’atto di archiviazione che «i sopra descritti aspetti pregiudizievoli nell’accudimento dei minori non hanno trovato sufficienti ed idonei elementi di sostegno probatorio». Piccolo sospiro di sollievo? Neanche per idea, le cose stanno per peggiorare perché sotto la cenere covava un fuoco temibile che ancora oggi dispiega drammatici effetti. Infatti il procedimento minò nelle fondamenta l’autorevolezza dei genitori, distruggendo un delicato equilibrio nel rapporto che da anni stavano costruendo con i figli adottivi. Soprattutto con la ragazzina, la quale, visto sminuito completamente il ruolo della mamma e del papà nella girandola di carabinieri, assistenti sociali, giudici, tribunali, documenti, timbri e bolli, fors’anche per giustificare devianze e volontà di fare i propri comodi tipiche di quando scoppia l’adolescenza, da quel momento iniziò a mostrarsi sempre più aggressiva, sfidante, fino a minacciare i genitori adottivi di far loro subire nuovamente quello che già avevano passato con i servizi sociali. Si scende così di un altro cerchio nel turbinio delle bolge infernali, la ragazzina esploderà fino ad essere ancora oggi un gigantesco problema, con conseguenze drammatiche soprattutto per la propria vita. Una condizione oggettivamente preoccupante per il suo futuro, la sua vita. E quella di suo fratello e dei loro genitori. Come vedremo.
(2_continua)