La cantattrice napoletana ha stregato la platea del Teatro delle Arti col suo viaggio sul palcoscenico con negli occhi lo sguardo del suo maestro. Applausi a scena aperta per la protagonista ed il suo gruppo.
Di Olga Chieffi
“E’ stato un privilegio avere quale Maestro Eduardo – ama ripetere la Sastri – mi ha insegnato il silenzio”. Le lezioni ricevute da Eduardo, dalla Sastri e da tutti i giovani attori come lei sono note, la camminata, la messa in voce, l’aver rispetto di se stessi su tutto, le celebri prime letture, dalle quali scaturiva l’assegnazione delle parti. Il rigore, il carisma, la dolcezza, del magistero eduardiano, e dell’uomo Eduardo, ha cominciato la giovanissima Lina ad apprenderlo facendo la comparsa nel Sindaco del Rione Sanità, con il primo sguardo di ghiaccio per non aver indossato ori, gioielli e orecchini, dimostrando, così di non conoscere l’intero copione e di aver tradito colui che l’aveva scelta. Così Lina vestita di bianco, sposa del teatro e della lezione eduardiana ci ha accompagnato nel suo personale omaggio al suo maestro. Omaggiare il proprio maestro, colui il quale ti ha messo gli “strumenti” in mano per “fare” ciò che insegui e ricerchi da sempre è il sogno di ogni bravo allievo. La disparizione emana verso di noi il fiore di un’amara, ma nuova primavera, di un’era da esplorare, in cui ritagliare una nuova terra d’amicizia e colloquio. Pure ci sollecita l’urgenza d’intrecciare, senza sosta, visibile e invisibile, per costruirci un veicolo, non so, magico di contatto che può essere la musica, un’immagine, un libro, una nuvola, quei raggi di sole che s’infilano tra le foglie, un tramonto particolare. Ci è riuscita splendidamente Lina Sastri, a trovare quel contatto con Eduardo, attraverso il viatico del “sogno”, mentre ci si tiene al palo del grande realismo, in un rapporto reciproco fra paradosso e quotidianità che appare basato su di un’ambivalenza nella quale gli opposti si legano dialetticamente e i confini fra illusione e realtà sono costantemente violati, ma per essere ripristinati in un movimento incessante di contrapposizione e di fusione. Così passano aneddoti e titoli da Sik-Sik, l’artefice magico, a Natale in casa Cupiello, dove ricordiamo Lina, inimitabile Ninuccia la “rispostera”, termini, frasi, che sono entrati nel linguaggio comune, Bonaria, de’ “Gli esami non finiscono mai”, fino a Filumena Marturano, in cui si sfiora l’assunto dell’arte, un capolavoro in cui bisogna che si “ami” “la regola che corregge l’emozione” (G.Braque) e “Amare” l’emozione che corregge la regola” (J.Gris), passando poi per “Napoli Milionaria” e il finale con “La tempesta” shakespeariana tradotta in napoletano antico. Non solo poesia, o la personale esperienza nel e del dire dell’attrice, sarà dedicata al pubblico della reggia, ma la musica che Eduardo amava e cantava, anche nelle sue commedie. La Sastri, infatti, in questo personale viaggio è stata accompagnata dal suo mirabile gruppo storico composto da Filippo D’Allio (chitarra e direzione), Luigi Sigillo (contrabbasso), Gennaro Desiderio (violino), Ciro Cascino (pianoforte) e Domenico Monda (percussioni), musicisti esperti e insuperabili nel sostenere l’iridescente voce e soprattutto l’idea creativa di ritmi della solista, evocando i celebri monologhi al femminile, attraverso quel napoletano che assume la bellezza e il senso d’una lingua “contro”, d’una lingua vera, nella concretezza espressiva d’una memoria, che, conserva la coscienza della realtà. Ma è la musica che può ancora salvarci dall’appiattimento mentale, privo di nascite, musica antica, che si cantava per sé, per “sbariare”, per vivere un momento di pausa, per commuoversi o rallegrarsi, musica che ci ha trasportato in una Napoli lontana, quando da un balcone aperto o dalla strada veniva, ogni tanto una canzone, un ritornello, una frase: voci di gente comune, voci isolate, voci di chi forse voleva inconsciamente placare una pena o ingentilire per un attimo la povera vita quotidiana. E ci siamo ritrovati sulla terrazza di “Gennariniello” dove si affacciava a signurina e ascolteremo “Uocchie c’ arraggiunate”, di Falconi, Fieni e Falvo, ‘O Surdato ‘nnammurato, chiuso come Nannarella, troveremo le tracce di canzoni che Eduardo interpretò e rese celebri. Come Cravatte, signori di Mangione e Valente, “Canzona appassiunata”, “Guapparia”, per le quali Lina ha scelto la strada del plurilinguismo, parola, poesia, emozione, gesto, danza, realizzando sul palcoscenico un crogiuolo di diverse culture, esprimendo attraverso il canto partenopeo, tutti i Sud del Mondo. E così, come chi legge un libro interagisce con la pagina scritta, interpretando in maniera personale fatti e personaggi, così la Sastri, frugando nella sua memoria, ha contribuito a ricreare quel canto, a far riaffiorare la memoria di quella lingua perduta, quella memoria collettiva, che è la formazione, la cultura e la vita quotidiana dei napoletani. “Tammurriata Nera”, “Reginella”, “ ‘O sole mio”, “Malafemmena”, “Canzone appassiunata”, “Totonno e’ Quagliarella”, “Si t’ ‘o sapesse dicere”, le tappe del viaggio di Lina, in cui l’intonazione e il canto rappresentano una trasformazione lineare del parlato, secondo un principio di continuità che passa attraverso toni intermedi, quali la declamazione accompagnata del melologo, con una scansione recitativa vincolata all’evoluzione ed al carattere dei temi musicali. Il finale lo canta Eduardo stesso, intonando “Na’ sera ‘e maggio”, parte di una registrazione, per uno spettacolo musicale con le canzoni delle due guerre mai realizzato. Un viaggio nell’anima che si rinnova ogni qualvolta Lina Sastri sentirà “In scena, Sipario!”