Levi e Scotellaro, occasioni perdute per Eboli - Le Cronache Attualità
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Levi e Scotellaro, occasioni perdute per Eboli

Levi e Scotellaro,  occasioni perdute per Eboli

Antonio Manzo

Carlo Levi e Rocco Scotellaro: le celebrazioni per i cinquant’anni dalla morte dello scrittore di “Cristo si è fermato a Eboli” e il centenario della nascita e il settantesimo anniversario della morte del poeta lucano avrebbero potuto costituire l’occasione eccellente per promuovere la conoscenza storica del loro percorso di vita. Ma il metodo che le hanno ispirato e il merito degli eventi celebrativi non hanno seguito questo percorso. Un discorso costruttivo avrebbe potuto suggerire opportune contromisure. Ma così non è stato. Perché le celebrazioni dei due anniversari di Carlo Levi e di Rocco Scotellaro possono essere incluse nelle tante occasioni mancate della città che si fregia del titolo del famoso romanzo di Carlo Levi oltre che territorio studiato negli anni delle lotte contadine, non solo, da Rocco Scotellaro. Premi, spettacoli e danze, convegni sulla cosiddetta questione meridionale tra tracce scientifiche dell’economia e rigurgiti borbonici. Ma forse gli eventi non richiedevano solo – o prevalentemente – questo nonostante l’aiuto economico della Regione Campania non richiesto ufficialmente ma comunque ottenuto e non si sa, fino, come e da chi speso. Nelle celebrazioni fatte è mancata un’anima, un respiro storico internazionale e nazionale, capace di far conoscere e comunicare in profondità realtà e mito di due straordinarie vicende di vita che ancora attraggono l’interesse e la sensibilità e che coinvolge insieme ragione, sentimento, passione. La realizzazione di un calendario di iniziative più in sintonia con la storia e la realtà avrebbe richiesto una più profonda elaborazione e il coinvolgimento e la collaborazione corale di competenze specifiche, tanto che ad Eboli, inizialmente, avrebbero voluto istituire un comitato scientifico presieduto da un autorevole storico italiano, nato al Sud ma cresciuto scientificamente nell’ambiente culturale torinese. Ma fu tutto un sogno. Si è parlato di storia, in pochissime iniziative, ma di storia, sorprendentemente, ce n’è stata poca o nulla. Ed è singolare che bacini di capacità e conoscenze come quelle delle università Federico II e di Salerno siano rimaste escluse, ignorate, così come gli studiosi lucani che hanno lumeggiato le figure di Carlo Levi e Rocco Scotellaro e incarnato, con diverse qualificate iniziative, nella realtà meridionale e nazionale. Così come nessun collegamento è risultato con atenei italiani e internazionali. Non per disseminare le celebrazioni di convegni accademici, ma per innervare le celebrazioni dentro una visione culturale approfondita, anche attraverso il coinvolgimento di grandi personalità di riconosciuta fama, italiane e straniere. Non solo docenti, ma anche scrittori che potessero parlare di Levi e Scotellaro da prospettive diverse. Volontari delle celebrazioni da apprezzare, si intende. Ma meno si intende, invece, la loro competenza e rappresentatività in un insieme privo di connessioni. Non è pedanteria vagamente accademica mobilitare le coscienze verso una più efficace conoscenza della storia ma razionale sviluppo di eventi dentro una chiara e concorde visione culturale. Alla malformazione genetica di iniziative è sfuggito tuttavia il senso complessivo, il collegamento dell’insieme col motivo che le hanno generate: le tracce che Carlo Levi e Rocco Scotellaro hanno lasciato nella loro lunga durata, le permanenze, gli sviluppi, le trasformazioni, le donne e gli uomini protagonisti delle loro storie. È mancata un’anima, dunque, in questo. Incontri di studio e di ricerca storica avrebbero potuto mobilitare competenze riconosciute nel mondo, esperti italiani e stranieri, per andare oltre il recinto cittadino autocompiaciuto. Senza elitarismi né stanchi convegni, ma coinvolgendo in dibattiti aperti un pubblico largo, a partire dai giovani, come già accaduto in tante città lucane, come Potenza, Matera, Aliano e Tricarico. Naturalmente la realizzazione di un programma di questo tipo, avrebbe richiesto il coinvolgimento e la collaborazione corale del sistema universitario campano e italiano, di cui non c’è quasi traccia. È una questione di competenze vere, per lasciare tracce durature. Così non è stato. E, purtroppo, ad Eboli non sarà mai così perché Cristo preferì lasciare il segno in Lucania.