Mercoledì si chiude la chiacchierata kermesse dedicata al genio novecentesco nella sala a lui dedicata con la pièce di Antonio Grimaldi introdotta da Gemma Criscuoli
Giocare con i versi e con le membra non è in fondo una scelta stravagante: non è forse il corpo una poesia creata con carne e sangue? “Lucciole all’inferno” è lo spettacolo diretto da Antonio Grimaldi, con Pia Ansalone, Chiara Manzo, Elvira Buonocore, Cristina Milito Pagliara, Gemma De Cesare, Gabriella Orilia, Anna Rita Vitolo, che concluderà mercoledì 16 alle 21 presso la Sala Pier Paolo Pasolini dell’ex Cinema Diana il percorso dedicato al più grande intellettuale del Novecento a cura dell’associazione Tempi Moderni. La serata sarà introdotta da Gemma Criscuoli che terrà un breve intervento sulla drammaturgia pasoliniana e il suo influsso sul contemporaneo per poi approdare all’itinerario artistico di Grimaldi, che ha fatto dell’ammirazione sconfinata per il regista di “Medea” l’occasione per creare ardite pièce. Le attrici protagoniste della messinscena, che ostentano una fisicità impudica e non addomesticabile, si muovono tra il degrado e la bellezza in una sorta di gara (indovinare i nomi degli autori che sono non a caso a loro volta tutti outsider: Capote, Ruccello, Lorca e lo stesso Pasolini): chi vince è accolta dalle altre, chi perde può andare incontro a vere e proprie punizioni. Se da un lato dunque è presente quell’attenzione alla marginalità che aveva affascinato l’autore di “Porcile”, dall’altro si avverte il peso della parola che sa mutare il volto delle cose con un’intensità spesso sottovalutata. Lo spettacolo è vietato ai minori di diciotto anni non per puro gusto dello scandalo (Pasolini continua a ricordarci che chi si scandalizza è tra l’altro poco informato), ma perché il regista sa che l’ammaliante mistero della carne è linguaggio in cui si concentrano tutte le tensioni proprie della condizione umana, luogo in cui la ricerca di senso si dispiega lontano dalla tirannia delle convenzioni. A Grimaldi interessa chiamare in causa gli spettatori, creare in loro un’incondizionata apertura a nuove possibilità interpretative. A dispetto del passare degli anni, la concezione della libertà cara a Pasolini può ancora rivivere in un allestimento che muove guerra al definito e al definibile.