di Erika Noschese
«Sono circa 80 le donne ammazzate da inizio anno, sebbene non si può dare un numero esatto perché l’escalation è costante e difficile da monitorare». A lanciare l’allarme l’avvocato Cinzia Capone, attuale titolare dello Studio Legale & Tributario Capone, denominato Studio Legale Capone dal 1947, con una storia ultra settantennale. L’avvocato Capone è già coordinatrice dello stesso dal 2005, è laureata in Giurisprudenza ed è abilitata all’esercizio della professione forense.
Avvocato, le cronache di questi giorni non sono affatto rassicuranti. Partiamo, purtroppo, dai dati: i reati sono in aumento?
«Sì, purtroppo sì. Non lo dicono solo le cronache, ma anche i rapporti ufficiali che descrivono uno scenario drammatico che non tende a trovare un argine. Sono circa 80 le donne ammazzate da inizio anno, sebbene non si può dare un numero esatto perché l’escalation è costante e difficile da monitorare. Ci sono da considerare, poi, le donne ferite che versano in gravi condizioni e quelle decedute per cause inspiegabili. Succede, infatti, che alcune vengono anche drogate, intossicate e portate a morire nella solitudine. Sono dati allarmanti che rendono la nostra società malata e bisognosa di aiuto».
Il cosiddetto Codice rosso funziona?
«Assolutamente sì. Inoltre, l’Aula della Camera ha approvato in via definitiva la proposta di legge sulle nuove norme al Codice Rosso per le vittime di violenza domestica e di genere. Il testo, già votato dal Senato, ha ottenuto a Montecitorio 200 sì, una scelta politica, quasi plebiscitaria, che rende l’idea della coesione, ad ogni livello, per far fronte ad uno dei drammi più rilevanti di questo secolo. Il codice rosso rappresenta prima di tutto una risposta immediata e preventiva, poi apre l’iter di valutazione all’eventuale condanna del reo. Ne abbiamo fatti di passi in avanti! Prima bisognava aspettare giorni, mesi, prima di sottrarre un soggetto fragile al suo aguzzino, adesso si interviene seduta stante e tutti possono attivare la procedura, anche, inizialmente, in forma anonima; saranno poi gli organi investigativi ad appurare le criticità e ad ufficializzare la procedura. Attivare il codice rosso è facilissimo e dobbiamo sensibilizzare tutte a farlo. Basta scrivere su internet “codice rosso” e si vedono le opzioni utili. Ancor più semplice e proficuo è parlare con altri, se siamo vittime di abusi o violenze. Il mio studio ed il mio cellulare, ad esempio, sono sempre attivi ed io sono sempre disponibile a raggiungere chi necessita di ausilio. Svolgo un ruolo di attivista perché è dovere nostro, di tutti, contribuire a migliorare questa società e questo fenomeno lo sento particolarmente vicino».
Qual è la storia che l’ha maggiormente colpita?
«Tante, troppe, ognuna con sua profondità e col carico di difficoltà emotive. Già da prima del codice rosso ascoltavo le donne colpite ed altri soggetti fragili finiti nelle fauci di orchi e bestie. Oggi il complesso normativo e la preparazione degli organi giudiziari rendono tutto più semplice e facilmente attuabile. Ma dobbiamo superare la reticenza a denunciare. Le mura domestiche non devono più essere delle gabbie prima e dei teatri di morte dopo. Ricordo qualche tentativo di far breccia nell’intimità tossica che alcune coppie vivevano. Era tutto complicato e saturo di pudore e sensazione scandalistica. Oggi, grazie a Dio, c’è una cultura della denuncia che apre quelle gabbie ed evita che le mura domestiche diventino teatri di morte. Per carità, molto ancora dobbiamo fare, tanto, dobbiamo superare ancora preconcetti e pregiudizi, specie nell’entroterra, nell’estremo sud, ma siamo sulla buona strada, soprattutto se rafforziamo la cultura del rispetto e della parità di genere. Oggi è facile reprimere ed è per questo che dobbiamo insistere sulla strada della prevenzione, soprattutto in alcune aree depresse del nostro Paese».
Una donna che si rivolge a lei quali preoccupazioni mette in evidenza?
«A volte varcano la porta del mio studio legale per parlare di altro e piano piano emergono le vere difficoltà e le paure più recondite. Il timore più comune è quello di distruggere il nido familiare e temere un’azione giuridica eccessiva, quindi si prova a intraprendere la via del dialogo nonostante i lividi e le tumefazioni. Bisogna però ricordare che le vittime sono ferite prima di tutto sentimentalmente e poi anche fisicamente. I segni sul corpo si possono vedere, quelli dell’anima no. La forte sensibilità di noi donne ci rende meravigliose, ma anche altamente vulnerabili. Spesso non si riesce a discernere la violenza dall’amore. Le persone perseguite vivono una condizione tossica, un amore malato e temono di distruggere il padre dei loro figli o l’uomo che porta i soldi a casa. Temono più di tutto di stare peggio, dopo! Hanno paura di ricevere ritorsioni e dispetti, poi. Ecco perché chiedono protezione e fiducia. Un dramma che si amplifica nei contesti sociali piccoli in cui, purtroppo, vive ancora l’ancestrale idea scandalistica, dove “l’uomo padrone” è libero di agire, dove l’omertà è più forte delle grida di aiuto, dove sarebbe meglio rimanere indifferenti».
Quali sono le tutele per una donna vittima di violenza con il codice rosso?
«Subito un tetto sicuro e lontano dal luogo di violenza, poi una misura di tutela garantita dalle Forze dell’ordine. Sono le prime azioni, salvo l’arresto in flagranza o procedibile di ufficio superati i giorni di prognosi previsti dalla legge. Successivamente inizia un iter di assistenza affinché alla vittima non manchi nulla, sempre sotto l’occhio vigile delle Forze dell’ordine. Si cerca di ristabilire un equilibrio intorno alla malcapitata, integrandola nella società con l’ausilio ed il supporto psicologico e sociale e provando a far dimenticare gli spettri del passato, anche se ci vorrà tempo e impegno».
Le misure messe in atto dal governo nazionale, secondo lei, sono sufficienti?
«Assolutamente sì! Anche con questo nuovo aggiornamento approvato nelle scorse ore. Con la Legge 69/2019 è cominciato un importante percorso repressivo, ma bisogna partire anche con quello preventivo ed innestare una nuova cultura del rispetto nella nostra società. Va cambiato il paradigma culturale, promosse azioni di sensibilizzazione nelle scuole e sui luoghi di lavoro, fino ad arrivare nelle singole case. I politici, i media, le istituzioni devono mettere al primo punto dell’agenda setting la divulgazione del rispetto di genere».
Alla luce degli ultimi episodi che si stanno registrando qual è l’appello che si sente di lanciare ad una donna vittima di violenza?
«Parlarne e subito. Con chiunque, ma parlarne, aprirsi, raccontare, condividere. Quello che a volte sembra normale è già una minaccia, un pericolo, l’inizio di una fase che può essere irreversibile. Alle vittime manca spesso la lucidità e la capacità di critica perché accecate dall’amore. Denunciare chiunque minaccia o si renda pericoloso anche solo attraverso il telefono o con azioni vessatorie, reiterate, in rete, sui social network. Gli aguzzini sono esseri diabolici ed apparentemente innocui. Dobbiamo essere più furbe e forti e per essere forti dobbiamo coalizzarci, fare rete, aggrapparci ai valori che possono salvare la nostra vita. C’è rimedio e possibilità di riscatto, sempre. Ho visto donne tornare a sorridere e vivere la propria autonomia, la propria indipendenza lontane dall’incubo del passato; donne felici che oggi abbraccio con un’energia diversa e che sono diventate esempio di riscatto e rinascita. Nessuna deve sentirsi sola, lo Stato c’è ed io anche, Sempre!».