La generosa attrice toscana in duo con Chiara Catalano, interprete della piéce “Io Sarah, io Tosca”, diretta da Daniele Costantini, è stata applaudita dalla platea festivaliera del teatro Verdi di Salerno, chiassosa e disattenta
di Olga Chieffi
Un teatro Verdi, occupato a macchia di leopardo, con diversi giovani nei palchi, ha accolto il lungo monologo di Laura Morante, quasi un melologo, poiché era in duo con la tastiera di Chiara Catalano, che ha eseguito degli interventi composti da Mimosa Campironi, “Io Sarah, io Tosca”, diretto da Daniele Costantini. Pubblico festivaliero e chiassoso, che non poco disturbo ha arrecato sia alle attrici in palcoscenici, sia a quanti erano in teatro per assistere alla rappresentazione, intrattenendosi, ciarlando a voce alta nei corridoi, finanche il personale dello stesso massimo. Generosissima Laura Morante, la quale è autrice di questo monologo dedicato a Sarah Bernhardt che ripercorre alcune tappe della vita della Bernhardt: il 3 novembre 1887, all’inizio delle prove di Tosca di Sardou; il secondo due settimane dopo; il terzo all’alba del 24 novembre, il giorno della prima rappresentazione di Tosca. E’ uno spettacolo che la Morante ha scritto durante la pandemia, immergendosi nella infinita bibliografia dedicata alla Diva, che pecca, però, in sintesi, verbosità e staticità, sia di scena che purtroppo, a sprazzi, nel tono di voce. Victorien Sardou si è ispirato alla Sarah Bernhardt e Puccini, per la sua Tosca, al dramma del genio francese, incantato dalla Sarah, parigina d’origine israelita olandese, fisico asciutto, naso sgraziato, capelli ricci indomiti, sfoggiante una personalità fortissima sulla scena e nella vita, dove era solita sedurre gli uomini e disfarsenecon pari velocità, come Carmen, il suo matrimonio, celebrato il 4 aprile del 1882 con l’attore greco Georges Damala, era durato poco meno di un anno, e ben presto altri uomini, ne avevano preso il posto, dal drammaturgo Jean Richepin a Gustave Doré e tanti altri. Un mito vivente, che affondava le sue radici nelle fondamenta del teatro francese. Partita dall’interpretazione dei grandi classici, e in particolare di Racine (Iphigénie) e Molière (Les femmes savantes), la Bernhardt riscosse un successo sempre crescente nel repertorio contemporaneo, che la spinse anche sul set dei primi film girati nella storia della settima arte: se fu acclamata la sua Marguerite Gautier nella Dame aux camélias di Alexandre Dumas figlio, altrettanto brillante ella si rivelò nell’indossare panni maschili efebici incarnando prima di tutte quel mito dell’androgino in gran voga negli ambienti intellettuali di allora. La natura stessa spingeva dunque l’attrice a cercare soggetti che ne mettessero sempre più in luce il temperamento accentratore, adatto alle più calde fiammate drammatiche. Ma fu la necessità a dirigerla verso Sardou: dopo alcuni anni di tensione con la prestigiosa Comédie-Française, di cui era membro illustre, la Bernhardt dette le dimissioni e iniziò una carriera da libera professionista che l’avrebbe portata in seguito sino a comprare il Théâtre de la Renaissance nel 1893 per mettervi in scena un proprio repertorio, dedicato a lei stessa. Sardou creò per Sarah una vera e propria galleria di personaggi femminili, studiati per metterne in luce una sensibilità incline al mélo, ponendola di volta in volta al centro di situazioni quasi contemporanee, come accade con la principessa-spia russa Fédora, oppure di ambienti decadenti, quali la Bisanzio di Théodora, con le musiche di scena di Jules Massenet, fino all’Egitto di Cléopatre, con le musiche di Xavier Leroux. Eroine che divennero tutte protagoniste celebri opere con Giordano, Rossi e quindi Puccini. La Sarah di Laura Morante, la vediamo aggirarsi sul palcoscenico ove è montata la famosa “Camera nera” con bara letto-comodino, con tanto di scheletro della sua villa, circondata da animali esotici, realizzata da Luigi Ferrigno. 0Poi, tra il racconto della sua vita fatta di ovazioni, chiacchiere e disprezzo, la fortissima superstizione, la predizione di una veggente che le aveva annunciato la morte in palcoscenico, i colori come il viola o il verde, ecco esplodere la grinta dell’animale da palcoscenico, nel racconto dell’immedesimazione del ruolo di Tosca. Fu la sua Tosca a creare il personaggio-mito che sposò anche l’eroina pucciniana, in particolare nella scena dell’uccisione del perfido barone, che ispirò anche l’inconfondibile manifesto di Adolfo Hoenstein, il carattere libero incontrollabile della diva, nella interpretazione della Morante divenuta un semplice racconto con quell’ “Avanti a lui tremava tutta Roma”. Alla prima del 1887 i ripetuti salti dal parapetto nel finale di Tosca causarono il peggioramento di una lussazione al ginocchio destro di Sarah, che si aggravò ulteriormente per una caduta durante una ripresa a Rio de Janeiro nel 1905, e che dieci anni più tardi le costarono l’amputazione della gamba destra, già in cancrena. Simbolo di quel legame profondo fra arte e vita, che è stato appannaggio delle grandissime come Sarah o Titina De Filippo, il finale con il fondale nero che cade e sulla battuta finale di Sarah dedicata a suo padre “era simile a un dio” (era figlia di una cortigiana ebrea e padre ignoto), un rudere, la nuda verità.