L’alfiere d’Oriente di Carmine Mari - Le Cronache Spettacolo e Cultura
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L’alfiere d’Oriente di Carmine Mari

L’alfiere d’Oriente di Carmine Mari

Gemma Criscuoli

Il potere non si ferma davanti a nulla, quando un obiettivo deve essere raggiunto. Per questo occorre destreggiarsi tra ambiguità e colpi nell’ombra, traendo coraggio dalla propria etica e, talvolta, dal proprio bisogno di primeggiare. È un appassionante giallo nella Salerno del Guiscardo “L’alfiere d’Oriente”, l’ultimo libro di Carmine Mari, edito da Il piroscafo del gruppo Les Flàneurs edizioni. Avvalendosi di un’accurata ricerca storiografica, l’autore punta su un singolare protagonista, Riccardo di Hauteville, realmente esistito, che si distinse nel tempo delle crociate e che, a giudicare dalle fonti, fu più spregiudicato della figura attorno alla quale, nel testo, ruotano personaggi difficili da dimenticare. Mentre, nel 1084, Roberto il Guiscardo si rivela disposto a una spedizione in Oriente per consolidare un progetto imperiale di ampio respiro, la medichessa Trotula dovrà muoversi tra omicidi e attentati e spetterà proprio a Riccardo smascherare chi trama in segreto per bieco tornaconto. Il romanzo si caratterizza per una notevole padronanza del ritmo narrativo: le vicende, infatti, si snodano in modo fluido, all’insegna di un considerevole dinamismo, senza un attimo di cedimento e lo scrupolo documentaristico, che è la peculiarità dello stile di Mari, offre sempre nuova linfa alla fantasia a vantaggio di una caratterizzazione viva e concreta dei personaggi in un sistema di relazioni rigoroso e versatile. Quando, per esempio Riccardo ha a che fare con Tancredi d’Amalfi, figlio di Goffredo, ed Ermanno da Melfi, a sua volta al servizio di Boemondo, primogenito del Guiscardo, questi rappresentano, pur nelle loro peculiarità, gli esiti a cui potrebbe giungere la sua vita. Il primo, nella sua generosità emotiva, incarna la parte romantica che alberga anche in un animo umbratile come quello del cavaliere normanno. Ermanno non va per il sottile nella vita come sul campo di battaglia, sempre pronto a muoversi tra sarcasmo e aggressività, e in lui si riflette la parte selvaggia del protagonista. I tre, di conseguenza, leggono se stessi gli uni negli altri approfondendo la propria consapevolezza. Una triangolazione ugualmente stimolante si ha in Trotula, Sichelgaita e Lutgarda. Le ultime due sono state allieve della prima, in qualche modo legate da un’ambigua sorellanza e declinano, ognuna secondo un determinato percorso, una versione femminile del potere. Trotula crede nella forza benefica della razionalità e sa che la cura dei corpi non potrà mai prescindere da quella delle anime, è materna, complice, lungimirante, coraggiosa, tra i personaggi più attraenti che l’autore abbia creato. Sichelgaita e Lutgarda sono accomunate dalla necessità di difendere ciò che legittima la loro rilevanza sociale, ma la moglie del Guiscardo ha il temperamento di una temibile guerriera che non si lascia decifrare fino in fondo. Lutgarda non sfigurerebbe in una tragedia, perché tutta la sua vita è una lotta all’ineluttabile. Entrambe rappresentano le vie che si aprono dinanzi a Trotula: assediare o essere assediata, ma la medichessa, forte della propria umanità, confligge con questa dicotomia sterile. Uomini che si misurano con intrighi e doppiezze sono Simone da Bisanzio, il mercante legato da grande amicizia a Riccardo e interessato alla sorte di alcuni ostaggi, e Gregorio VII. Se il primo sembra di gran lunga più dinamico del secondo, affaticato dalle numerose prove affrontate, condividono comunque l’amaro disincanto di trovarsi dinanzi a un contesto pronto a colpire, ma non a capire. Il corpo resta centrale nelle vicende dello scrittore, che si tratti di efferata violenza o di desiderio e le donne hanno qui un notevole spazio. Si pensi alla libera spudoratezza di Tassia, all’astuzia di Eudocia, alla grazia di Gisla, che troverà la vita nella morte; personaggi a cui ci si affeziona, perché lasciano un segno in una dimensione caparbiamente maschile. Che il finale sia affidato a Trotula, è una scelta precisa, il segno di un’ostinazione amorosa nel comprendere e accogliere, malgrado tutti gli incubi e le storture del mondo. In fondo, è questo che fa uno scrittore: attraversare le tenebre e la luce, sapendo che l’una senza l’altra non è possibile.

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