Sabato sera il violinista ha emesso le prime note ufficiali da Premio Paganini in un luogo speciale, la cattedrale del suo paese natale, travolto da un’onda d’emozioni. Sorriso dirompente quanto l’esecuzione del I concerto dell’icona del violino di ogni tempo, sostenuto dall’Orchestra Internazionale della Campania, diretta da Leonardo Quadrini
Di Olga Chieffi
A fine agosto, la luce diviene particolare, definisce e dora colori, cesella contorni e profili, preludia alla sacralità di un luogo, di un rito. Questa luce, sabato, al tramonto, ha avvolto la cattedrale di Santa Maria della Pace in Campagna, completata nel 1750, solo due anni prima dell’apposizione dell’anima, in quel Balestrieri che Giuseppe Gibboni ha imbracciato per provare il concerto n°1 in Re minore op.6 di Niccolò Paganini con l’Orchestra Sinfonica Internazionale della Campania, diretta da Leonardo Quadrini. Tecnica disarmante, pulita, dinamica, al servizio della Musica, mai di certo effettistico virtuosismo, quanto il suo sorriso e quella luce. In sacrestia qualche parola scambiata sotto una simbolica scala a chiocciola che porta in cima alla cattedrale: “Non c’è solo Paganini o il grande repertorio virtuosistico, che proporrò in giro per il mondo – ha dichiarato Giuseppe Gibboni – ma, per il prossimo futuro, guardo e studio il repertorio da camera e la musica del Novecento”, propositi che rivelano come l’affermazione nel massimo concorso violinistico del mondo sia stata già archiviata e si miri a salire quella scala che, sappiamo bene, in arte non porterà mai a qualcosa di definito, ma rappresenterà unicamente un avvicinarsi, tendere, aspirare continui, a qualcosa che sempre mancherà, che non si ottiene, simbolo di un sogno, di quella eterna recherche, per la quale varrà la pena battersi, fino alla fine. Alle 21,30 il concerto, fortemente voluto in cattedrale, luogo simbolo di Campagna, sotto l’occhio attento e accogliente di Don Carlo Magna, un evento atteso, per il quale ad ordinare l’affluenza del pubblico si è dovuto ricorrere alla protezione civile. In attesa del concerto, inserito nel cartellone di ‘A Chiena, con comune capofila proprio Campagna, tra le strade del paese non si parlava d’altro, parole d’ammirazione e d’orgoglio nei riguardi non solo di Giuseppe, ma dell’intera famiglia Gibboni, per la loro generosità e umiltà, e di quel “puro folle” di Daniele che, a tre anni mise un quartino e un archetto tra le mani di Giuseppe, dopo averlo “pensato” violoncellista. In chiesa autorità civili e militari, tanti amici musicisti, tra cui il Maestri Claudio Ciampa e Costantino Catena, il sindaco Roberto Monaco, un emozionatissimo Cosimo Giordano, presidente della Pro-loco, unitamente al clarinettista Luciano Marchetta e al dirigente scolastico del Liceo Musicale “Teresa Confalonieri”, Gianpiero Cerone, hanno introdotto questo storico concerto, in cui Giuseppe ha emesso le prime note ufficiali in veste di Premio Paganini. La serata ha previsto due momenti, il primo dedicato all’orchestra, una commistione di maestranze dell’est Europa e campane, insieme a qualche strumentista del magistero salernitano – il clarinetto Enzo Cuomo, Gaetano Varriale al fagotto, Antonio Foglia al trombone e Gino Calabrese al corno – durante il quale Leonardo Quadrini, con gestualità, davvero “fuori ordinanza”, quasi uno show, ha diretto un programma che ha spaziato tra pagine tratte dai grandi balletti russi Spartacus, Romeo e Giulietta e lo Schiaccianoci, l’ouverture della Leichte Kavallerie, fino a giungere alla Danza Ungherese di Brahms n°5, facendo poi “scoccare” le mani al pubblico sul galop infernale dell’ Orfée aux enfers, una scaletta validissima per il prossimo Concerto di Capodanno, magari con seconda parte straussiana e bis con Radetzky March. Il finale della serata, invece, ha avuto un solo protagonista, Giuseppe Gibboni in simbiosi col suo violino. Il repertorio paganiniano è il suo, sin da giovanissimo, chiunque gli sia alle spalle: all’attacco del violino si crea una bolla inattaccabile da ogni imperfezione, discromia e discronia dell’orchestra, un’aura creata dal carisma e dalla perfezione dell’esecuzione che scolpisce la pagina come la luce di fine estate. Godibilissime le cadenze, in cui si è unito lo scintillante furore giovanile di Giuseppe alla squisita raffinatezza della scuola di Pierre Amoyal, con il quale sta per ultimare gli studi a Salisburgo, a cui sono susseguiti appalusi e standing ovation a scena aperta, senza rispetto del silenzio tra i tre movimenti. Ma, in talune situazioni, si va oltre la musica stessa: applausi, riconoscimenti e bis con gli amati capricci di Paganini, il XXIV e il V. A far da sfondo un’orchestra intera, felice, con l’espressione della meraviglia stampata sui volti, ad eccezione del I fagotto, il quale, durante l’esecuzione dei due capricci ha scelto di smontare, imperterrito, il suo strumento, senza alcun rispetto per il solista, la musica eseguita ed l’uditorio stesso, lasciando, così, associare la formazione in cui si esibisce, alla più becera bandicina da giro. Ultime note dissoltesi nel più affettuoso e commosso degli abbracci, prolungatosi in una notte di luna.
Giuseppe Gibboni in un’immagine di Armando Cerzosimo