di Simone Di Meo
La camorra salernitana è ancora un fenomeno criminale localistico, dicono gli esperti della Procura nazionale antimafia nei dossier che “Cronache del Salernitano” ha potuto leggere in anteprima. E questo perché, pur essendosi strutturata secondo gli schemi “classici” della malavita organizzata, con affari sporchi e indotto a parecchi zeri, non ha raggiunto quel grado di “maturità mafiosa” che le consente di proiettarsi oltre i confini regionali e nazionali nella gestione del più lucroso dei business della Piovra: il traffico di stupefacenti. Una mancanza tanto più sorprendente in presenza di un porto commerciale che – scrivono i magistrati – «rientra nelle rotte mondiali del narcotraffico» al pari di altri scali come Gioia Tauro e Napoli oppure Barcellona e Amsterdam. «Nella città di Salerno – si legge nelle relazioni della Dna – non sono emersi ancora diretti inserimenti della criminalità locale nel traffico internazionale degli stupefacenti». Ciò significa che i «gruppi operanti nel capoluogo» sono ancora «sostanzialmente dipendenti» dai tradizionali canali di approvvigionamento delle droghe sotto il «controllo di ben strutturate associazioni criminali napoletane». Gruppi che operano nel campo da anni ormai. Gli esperti dell’antimafia, che stanno studiando le nuove dinamiche criminali nella città di San Matteo, non ne parlano in maniera esplicita ma alcuni indizi vengono offerti dai risultati delle inchieste che, negli ultimi anni, sono scattate in Campania. In particolare, si tratta delle cosche acquartierate nelle lande settentrionali e meridionali della provincia vesuviana: Melito, Arzano, Casavatore e Scampia da un lato; e Portici, Ercolano, Torre Annunziata e Torre del Greco dall’altra. Da queste holding camorristiche transnazionali, i gruppi salernitani acquistano le partite di droga (soprattutto cocaina e hashish) da smerciare nel capoluogo e nell’immensa provincia. Sono stupefacenti che arrivano in Campania grazie ai contatti con i narcos spagnoli e sudamericani tenuti dai camorristi affiliati ai clan Amato-Pagano di Secondigliano e ai Gallo-Cavaliere di Torre Annunziata. «Personaggi di grande spessore delinquenziale – dice un investigatore – che movimentano decine e decine di quintali all’anno di droga per un fatturato complessivo che vale milioni di euro. Gente molto preparata e spregiudicata che si avvale di una vasta rete di contatti e di fiancheggiatori spesso incensurati e giovanissimi in cerca di facile guadagno». Il porto di Salerno è dunque una tappa “obbligata” nella cartografia marittima mafiosa, ma nulla di più. I clan locali, probabilmente, non hanno la forza e la caratura per gestire in proprio gli sbarchi dello stupefacente nella loro città; e per questo preferiscono affidarsi a chi, della logistica in fatto di droga, è diventato ormai un vero e proprio esperto. I napoletani, certo. Ma anche e soprattutto i calabresi che si stanno estendendo verso il Cilento e su su fino a Salerno. «Sempre in riferimento alla città capoluogo, e in riferimento alla presenza di un avviato scalo marittimo commerciale – c’è scritto ancora nella relazione della Procura nazionale antimafia – va anche confermata l’esistenza di attività criminali “esterne” (per lo più riconducibili a mediatori e a gruppi operanti nel napoletano o riferibili alla ‘Ndrangheta) che di questo scalo si avvalgono come terminale del traffico internazionale degli stupefacenti». Insomma, in tema di droga, in casa loro, i clan di Salerno preferiscono affidarsi agli “esperti” del settore. (IV puntata – continua)