La storia dei migranti in fuga, ricorda quella dei nostri antenati - Le Cronache Salerno
Salerno

La storia dei migranti in fuga, ricorda quella dei nostri antenati

La storia dei migranti in fuga,  ricorda quella dei nostri antenati

Michele Capone

Il porto di Salerno è diventato uno degli approdi di migranti. Sulle banchine del porto commerciale, nello stesso luogo dove arrivano le arrivano le crociere, cariche di spensierati turisti, si fermano le imbarcazioni che trasbordano i migranti dai barconi ai centri di accoglienza. Salerno ha visto arrivare uomini e donne, bambini e giovani che scappano in cerca di una prospettiva migliore, e che, invece, s’ infilano spesso in un reticolo di piccoli e grandi soprusi, dal caporalato delle campagne a quello, non meno ignobile, del racket dell’accattonaggio. Tutti accomunati dalla clandestinità della migrazione. Salerno, la sua provincia è stata terreno di emigrazione molto fertile. La storia di questi migranti in fuga, ricorda quella dei nostri antenati, perché, la clandestinità ha riguardato anche alcune partenze dalla nostra provincia. Proviamo a raccontare alcune storie, per certi versi singolari. Siamo nel 1879, l’unità d’Italia, tra le tante novità, ha portato anche quella della leva, ed i giovani non l’hanno apprezzata. Soprattutto, non si può rincorrere il sogno delle Americhe, così lontane ed affascinanti con la loro promessa di benessere. Gli italiani erano un po’ come gli albanesi degli anni 80, quando la televisione presentava ai loro occhi un’Italia ricca e giocosa. La realtà era un’altra, come purtroppo scoprirono. Torniamo al 1879. Antonio Marinelli vive a Tortorella, nel Cilento. Vuole andare in America, ma non può ottenere il passaporto per l’estero, deve assolvere alla leva. Antonio vuole andare via. Il 6 luglio si reca a Napoli, con il fratello Giuseppe, consigliere comunale. Quest’ultimo torna al paese, da solo, 4 giorni dopo. La scomparsa di Antonio non passa inosservata e la denuncia di immigrazione clandestina parte dalla Prefettura. È interessata la Questura di Napoli che, il 30 luglio, risponde sconsolata: nessun Antonio Marinelli risulta registrato negli alberghi e nelle locande della città. È un anno di partenze clandestine. A Teggiano, un diciannovenne, Antonio Talio vuole raggiungere New York, con la sua amata, Paolina Santoro. Questa volta sono i carabinieri a svolgere le indagini, controllano le imbarcazioni e gli imbarchi a Napoli, ma le ricerche sono infruttuose. Altro ventenne, Vito Antonio Lomonte di Casaletto Spartano, scompare. Siamo nel giugno del 1879, e le indagini dei carabinieri sono accurate. Hanno ispezionato il piroscafo La France, ma Lomonte non c‘era. Ma come facevano ad eclissarsi i clandestini di casa nostra? La relazione dei Carabinieri su Lomonte si chiude con un’analisi del problema. I clandestini non si fermano a Napoli, ma raggiungono Genova e da qui Marsiglia dove s’imbarcano per le Americhe. Di chi la responsabilità di queste fughe? I Carabinieri non hanno dubbi: i comandanti dei piroscafi, non molto diversi, quindi dagli attuali scafisti che trasportano i clandestini sulle nostre coste. Un altro fenomeno, legato all’emigrazione, è il distacco dalle famiglie. Molti migranti lasciano i figli nei paesi di origine, spessi ai nonni o parenti, in attesa di poterli riabbracciare una volta giunti in Italia. Nemmeno questo fenomeno è nuovo per i nostri emigranti. Torniamo al 1879, ed andiamo a Giffoni Valle Piana. Non più il Cilento, ma i Picentini, zona più vicina alla città e meno “povera” dell’interno del Cilento. Ora non si tratta di clandestinità, ma di una coppia di giovani sposi Carminantonio Basso di 27 anni e della moglie Restituta Sica. In Prefettura giunge la loro richiesta di permesso per l’espatrio. Nell’istanza affermano chiaramente che intendono emigrare “per migliorare la nostra sorte”. È la paura del futuro, che sembra nero. Vogliono provare a dare una possibilità alla loro vita che, sembrerebbe, già segnata. Lontano da Giffoni, da soli, lasciando al paese la piccola Gelsomina di 5 anni. La coppia però assicura che sarà accudita dai nonni. Questi, Pietro Basso e Gelsomina Lamberti, davanti al Sindaco di Giffoni, redigono un verbale nel quale affermano che “si accollano la nipote Gelsomina” obbligandosi “a tenerla con loro con ogni affetto, non facendole mancare niente per quanto potrà”. È un documento toccante, perché la freddezza del linguaggio burocratico, nasconde tutta la crudeltà del distacco. Lasciare una figlia di 5 anni per cercare di “migliorare la propria sorte”. Com’è simile la storia di Gelsomina a quella di tanti piccoli bambini che restano in Africa o in Asia, mentre i genitori partono ma, soprattutto, come non pensare alle loro madri, alla crudeltà del distacco, lo stesso di Restituta quando ha dovuto lasciare Gelsomina, per trovarsi, come i migranti giunti a Salerno, su un’anonima banchina di una città sconosciuta, con la speranza di “migliorare la propria sorte”.

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