Di Olga Chieffi
L’Auditorium Niemeyer ospiterà un nuovo concerto oggi, alle ore 19, con due giovani artisti che si stanno imponendo rapidamente all’attenzione internazionale: il direttore d’orchestra Diego Ceretta, alla testa dell’Orchestra Filarmonica di Benevento, che avrà quale special guest il violoncellista Ettore Pagano. La serata inizierà il suono del violoncello di Ettore, un Ignazio Ongaro del 1777, affidatogli da Setaro Fine Instruments, per eseguire una chicca di Gioachino Rossini, “Une Larme, Thème et Varìatìons”, nate per cello e pianoforte, ma che ascolteremo nella trascrizione per archi, firmata da Eliodoro Sollima. Un capolavoro, questo, di grande espressività romantica, forse uno dei più bei temi rossiniani. Dopo una breve introduzione, l’Andantino principia il tema in La minore affidato al cello, quindi le variazioni sul tema con terze, seste, scale e un ventaglio di asperità tecniche che richiedono grande virtuosismo, con una cadenza, prima di proseguire con l’Allegro brillante e lo sfoggio strumentale, mai vuoto, della coda “Animando”.
Ettore Pagano, donerà, quindi, una pagina che da tanti critici e compositori può essere considerata forse l’essenza stessa del concerto per cello, Camille Saint-Saëns: Concerto n. 1 in la minore per violoncello e orchestra, op. 33, datato 1873. L’opera è una sapiente fusione di elementi classici e romantici, offrendo così un’esperienza musicale ricca e variegata. La scelta di equilibrare il ruolo del solista e dell’orchestra è particolarmente interessante, poiché permette a entrambe le parti di esprimere la propria individualità senza che una sovrasti l’altra.
Le tre sezioni del movimento sinfonico, tutte interconnesse da temi musicali comuni, suggeriscono una coesione interna che arricchisce l’ascolto. Questa struttura, pur rimanendo ancorata ai principi della forma concerto, permette una certa libertà espressiva, tipica del periodo romantico. La vivacità d’espressione e gli spunti originali indicano un compositore che sa come giocare con le emozioni e le sonorità, rendendo l’esperienza musicale non solo tecnica, ma anche profondamente emotiva. In definitiva, sembra che l’opera riesca a catturare l’attenzione del pubblico, invitandolo a un viaggio musicale che celebra tanto la tradizione quanto l’innovazione.
L’inizio è poco tradizionale; dopo un brevissimo strappo dell’orchestra, il violoncello enuncia immediatamente il motivo principale. L’orchestra fa propri gl’interventi plastici del solista riproponendoli in un susseguirsi di chiamate e risposte che danno vita ad uno scenario di profondo pathos. L’allegretto con moto, che offre nuovi spunti tematici, si conclude con la ripresa del secondo tema del movimento precedente. Un grazioso Minuetto introdotto dagli archi costituisce l’idea principale; il violoncello intona un delicato controcanto che evolve, poi, in un valzer, aggiungendo così un tocco enigmatico nella percezione storico-temporale. Un peu moins vite, va a chiudere l’ultima sezione, con l’inserzione di nuovi elementi tematici e l’ennesimo ritorno dell’impetuoso primo tema che aveva aperto il Concerto, tanto che Saint-Saëns sottolinea quasi con enfasi “Più allegro comme le premier mouvement”. Classicismo formale ed elasticità architettonica, riferimenti e rimandi, costituiscono dunque la tecnica seguita per assemblare l’opera, che spicca per il suo perfetto stato di equilibrio; in essa violoncello e orchestra sono co-protagonisti di un grande quadro d’assieme dai toni intensi, mossi, vivaci, sul filo ideale dell’inquieto vivere. La seconda parte della serata sarà interamente dedicata all’esecuzione della VII sinfonia di Ludwig Van Beethoven. La grandiosa visione di Wagner della “Settima” come “apoteosi della danza” serve a introdurre il discorso in un contesto piú specificamente musicale: la “Settima” costituisce un punto di arrivo e di passaggio nello stesso tempo, che dal punto di vista formale e stilistico corona in modo del tutto particolare la conquista beethoveniana del dominio sinfonico. La continua espansione della ricerca sulle possibilità della sinfonia, quale si era concretata nella seconda maniera, approda infatti nella “Settima” a una riduzione dell’ambito formale che in sintesi significa un passaggio di livello nel modo di considerare i rapporti e le funzioni all’interno dell’itinerario formale della grande forma sinfonica. Questo processo risulta evidente sia sul piano del carattere e del divenire dei temi, sia su quello delle loro funzioni nei rapporti di contrasto e di opposizione nello svolgimento dei quattro tempi, sia nella tecnica degli sviluppi e delle elaborazioni, sia, infine, nella ricerca sulle proprietà strutturali dei fondamenti del linguaggio; e questi non sono che alcuni, anche se i principali. Su un piano piú generale tale riduzione, che si arricchisce già dei connotati precipui che porteranno agli esiti massimi delle opere dell’ultimo periodo, condiziona anche l’ulteriore grado di appropriazione del modello della forma-sonata, che qui dà vita ad una concezione formale unica ed assoluta proprio in quanto è il risultato di un processo che, disimpegnatosi via via dalle strette dell’individualismo eroico in lotta, è giunto ad analizzare e ad oggettivare i termini stessi del proprio sviluppo. Nella Settima, dunque, Beethoven realizza un decisivo passo verso un modo nuovo di concepire la musica e, in particolare, la costruzione sinfonica, fondandosi unicamente sul contrasto nel fluire del tempo degli elementi puramente musicali organizzati al loro stadio primario: essenzialmente, come successione e opposizione di ritmi. Il ritmo è il fondamento strutturale che sta alla base della Sinfonia e che, materializzandosi, ne riempie di contenuto formale lo schema astratto che Beethoven derivava dalla tradizione (forma-sonata per i due tempi estremi, rondò e scherzo, rispettivamente, per quegli intermedi); il rilievo assoluto che il ritmo vi assume spiega fra l’altro l’origine della interpretazione di Wagner, la sua immagine poetica e figurativa: che cosa è infatti la danza se non sublimazione del ritmo musicale? Ma piú importante è, forse, ribadire come in questa Sinfonia sia superato ogni concetto di contrasto tematico (perché non esistono temi come individualità distinte e autosufficienti in lotta fra loro), e perfino sia abbandonata la traccia convenzionale dell’itinerario tonale, anch’essa come travolta nell’incessante divenire ritmico: lo sfruttamento delle possibilità connesse alla articolazione ritmica secondo un principio che si potrebbe definire di “variazione integrale”, da una parte, la loro organizzazione in funzioni e relazioni che esse stesse concorrono a creare, dall’altra, questi sono i concetti fondamentali che in-formano la struttura di questa splendida pagina.