Un quartiere intero, Canalone, si strinse a coloro i quali avevano perso tutto, storie di piccola e grandissima umanità per ricordare il LXVI anniversario della Malanotte, l’alba che illuminò una Salerno spaccata in due da una valanga di fango. Il ricordo del pescivendolo Luigi Giannattasio, “Giggino ‘o Comunista”
Di Giuseppe Nappo
Nell’ultima decade di ottobre ritorna puntuale l’anniversario dell’alluvione. Siamo al LXVI dalla tragedia alluvionale che nella notte tra il 25 e 26 ottobre 1954 sconvolse il salernitano. Lo scorrere del tempo sta portando via gli ultimi testimoni che vissero quei fatti e già da qualche anno i resoconti giornalistici sono obbligati a riproporre le stesse trite notizie. Quasi una litania la elencazione della calamità, dei danni, dei morti, degli sfollati degli interventi di aiuto, in cui la pur doverosa e necessaria sintesi degli accadimenti sovrasta la reazione umanitaria fatta dai vicini ai colpiti in quella tragedia. Anzi questa mancanza fu un peccato originale mai corretto dal passare del tempo. Oggi in molti richiami all’evento poco si aggiunge alle storie di umanità spicciola, se non quelle stesse descritte dai primi inviati dei giornali nazionali, quelli però giunsero nei giorni seguenti, non certo nell’immediatezza dei fatti. Fu un poco come se un inviato di guerra volesse descrivere la battaglia accaduta la settimana prima. A queste pur legittime narrazioni, la mia famiglia, originaria del rione Canalone, oltre che una di quelle tragicamente colpita quella notte, aggiungeva il vissuto personale e rionale fatto di umanità, vicinanza, soccorso, aiuto. Racconti di cose apparentemente banali, ma accaduti nei momenti stessi del nubifragio. Narrazioni che riferivano di interventi di aiuto, generosi ed incondizionati messi in opera anche a rischio personale, fatti da chi si trovò nell’occhio del ciclone e portò il suo piccolo o grande contributo. Sia essa stata la mano tesa salvifica ad afferrare il vicino travolto, o la coperta data allo scampato inzuppato ed infreddolito, oppure la tazza di latte, portata alla tremante vecchina bagnata e infreddolita, ed anche il ricovero offerto ai feriti nelle case private, ma pure le bugie pietose raccontate all’orfano disperato. Insomma, quella prima solidarietà diretta ed immediata data o ricevuta dagli stessi disastrati del rione. Fatti e valori raccontati per un rione povero qual era allora Canalone eppure solidale e coeso al suo interno. Fatti simili accaddero anche a Molina, Marina di Vietri, Alessia di Cava, Maiori, anche lì senza diventare cronaca e poi storia. Fatti rimasti intimi, conosciuti e ricordati per lo più solo dai protagonisti. A questa categoria appartiene la storia di “Giggino o comunista” così era noto nel rione, ovvero Luigi Giannattasio pescivendolo. A Canalone il disastro stava per compiersi il torrentello Fusandola che lo traversava, quella notte crebbe mostruosamente di portata. Le briglie costruite a monte del rione nel dopoguerra, non bastarono a trattenere e contenere le acque melmose, le frane, le pietre i tronchi. La mota che precipitò giù da Fossa Lupara, andò ad ostruire il lume della condotta sottoposta alla Chiesa di San Gaetano. Questa era stata eretta a cavalcioni di un ponticello, tanto che ostruito il canale sottoposto, il muro maestro della chiesa divenne argine innaturale all’acqua che saliva vorticosamente. Il muro resse finche poté, finché la chiesa di schianto crollò. Crollò il piccolo campanile e dalla campana in bronzo si levarono due lugubri rintocchi. Contestualmente due interi caseggiati a monte della chiesa vennero risucchiati dalle fondamenta nella valanga che si sarebbe precipitata su via Spinosa. Erano le due e trenta della notte, come consuetudine da buon pescivendolo, Giggino, malgrado la pioggia battente, stava uscendo di casa per andare al mercato. Fuori casa , al buio pesto la prima cosa che destò i suoi sensi fu una voce lamentosa levarsi in preghiera. Era al buio più totale, orientandosi come fosse un cieco con le mani vicino al muro, discese i gradoni fino a giungere a casa di Giulia Memoli sua vicina. Busso alla sua porta, chiedendole un poco di legna per illuminare quell’inferno. Prese alcune fascine dalla sua legnaia, cercarono di accendere un fuoco, tutto il legname era fradicio e pioveva, allora Giggino e Giulia sfondarono la porta di una stalla posta li vicino, traendone paglia e fieno. Con questo materiale le fiamme si ravvivarono riuscendo ad illuminare la scena. Le prima cosa che videro e che erano crollati ben due caseggiati sulla sponda opposta del Fusandola e che al secondo piano del palazzo crollato erano due bambini su un moncone di muro restato in piedi. Stavano aggrappati ad una inferriata con i piedi a poggiare su uno spuntone della parete perimetrale, alla vista del fuoco le loro grida di soccorso si fecero implorazioni. Occorrevano delle scale sufficientemente alte per cercare di soccorrerli. Il chiarore creato aveva fatto giungere altre persone sconvolte da quanto stava accadendo e ora vedevano. Tra grida di soccorso, di incitamento a far presto, ed improperi che sovrastavano le urla di terrore dei piccoli, venne portata qualche scala, ma tutte corte, singolarmente inutili. Allora Giggino tornò nella stalla dove trovò dei pezzi di corda, scosse il suo vicino Vincenzo Petrone che si era abbandonato alla disperazione, trovando aiuto anche in Osvaldo Ronca, un miracolato, rimasto impigliato, dopo il crollo dei palazzi, nel groviglio di cavi elettrici e per questo non risucchiato nel vortice d’acqua. Legati i monconi di scale mentre il Petrone controllava eventuali cadute di alto materiale dall’alto, venne posto a reggere la scala di fortuna il più robusto Ronca. Questi lo fece dovendo poggiare i piedi nel fango fino a sprofondarvi dentro fino alla cintola. Il giovane non lesinò impegno e coraggio, dovendo alla fine essere riestratto dalla mota di peso. Giggino, uomo esile e dinamico prese a salire fino a raggiungere i due ragazzini. Afferro prima la bambina, Sabatina Monetti che venne affidata a volenterosi soccorritori venendo portata in casa di Nicola Muscari, il sacrestano del rione. Giggino sfidando la pioggia, tegole e pietre che cadevano dai precari equilibri, risalì la scala di fortuna mettendo rapidamente in salvo anche il fratello. Pasquale era rimasto per tutto il tempo con il braccio ancorato alla griglia fino all’avambraccio reggendo il suo peso e quello della sorella avvinghiata a lui, resterà orfano e parzialmente invalido all’arto superiore. Dalla sommità della scala Giggino aveva notato un’altra famiglia in difficoltà, quella del calzolaio del rione. Solo arrampicandosi poteva portare soccorso e lo fece, inerpicandosi su per i ruderi agilmente. Nel frattempo si erano aggiunti Vincenzo Gisolfi ed altri in loro aiuto, tanto che in poco tempo vennero tutti posti al sicuro. Fu allora che ritornando verso il vallone parve loro di udire un lamento levarsi dalle macerie. Zuppi fradici di pioggia, madidi di sudore e tensione presero a scavare con le mani fino ad imbattersi in un corpo morbido e caldo. Era il corpo del piccolo figlio del caramellaio. Il corpicino venne celermente estratto dai detriti. Era vivo e passato di braccia in braccia venne condotto in un luogo riparato e sicuro. Salvo ma orfano. Il fuoco si spense ma ora dalle macerie non si levavano altri lamenti. Era ancora buio, qualche candela riluceva in diverse case dove si muoveva una umanità fervida di pronto soccorso. I feriti lievi verranno medicati nella infermeria dell’orfanotrofio Umberto I. alcune ore dopo. Per via della impercorribilità della strada, gli altri attenderanno diverse ore prima di poter essere trasportati agli Ospedali Riuniti, qualcuno come il caramellaio non vi giungerà. Resterà nella camera da letto messa a disposizione dal pietoso vicino che lo ricoverò appena estratto dalle macerie. Sessantadue canalonesi se ne andarono quella notte, gli altri piansero e non pensarono che quel primo soccorso aveva ridotto quel numero già mostruoso. I sopravvissuti, per anni si sono portati il ricordo come un peso, pochi nell’immediato ebbero voglia di raccontare. Giggino, pur non avendo avuto lutti, non fu da meno! Solo per caso, anni dopo arrivati nello stesso condominio a Santa Margherita ebbe modo di riferirmi la vicenda dei primi soccorsi nel rione. Alcuni eventi mi erano noti, avendo la mia nonna materna Nunzia Pascale con Anna Petrone ed altre, confortato, scaldato ed asciugato i due Monetti dopo il salvataggio. Col racconto di Giggino ‘o comunista si completava tutta la cronaca di quel momento evidenziando una solidarietà di prossimità sconosciuta alle cronache giornalistiche di ieri che possa esser lezione per i tristi momenti di oggi.