di Erika Noschese
«Circa un anno fa, mi telefonò un’amica che si occupa di servizi sociali in una casa di accoglienza per stranieri nel salernitano, per raccontarmi il dramma di una donna che piangeva sempre per la figlia di circa due anni rimasta in Tunisia. Mi furono date le istruzioni sui dati anagrafici e la provenienza di queste persone che avevano raggiunto dal Ghana la costa tunisina più ricercata dagli immigrati che decidono di arrivare in Europa. In questo caso la mamma della bambina giunta in Italia é stata destinata nel sud di Salerno». Inizia così il racconto di Salvatore Memoli, individuato dalla Tunisia come Console Onorario in Italia, con un ruolo di spicco anche nella soluzione del problema rifiuti Campani in Tunisia, favorendo i contatti tra Governo tunisino, Ambasciata di Tunisia a Roma e Governatore De Luca che si è reso protagonista di una storia a lieto fine: una bimba lasciata sulla spiaggia di Sfax in Tunisia mentre il barcone clandestino si allontanava con la madre e due sorelline. «Con pochi dati a disposizione e qualche fotografia, mosso da un grande sentimento di protezione per la piccola, mi portai nel Governatorato di Sfax dove esiste un grande campo di rifugiati con una presenza prevalente di ghanesi. Dopo qualche giorno di ricerche, incontrai informatori che si misero a ricercare con me la piccola Makon – ha ricordato Memoli – Intanto amici autorevoli ed esponenti qualificati della polizia tunisia, con molta preoccupazione per me, mi dissero di allontanarmi dalla zona, perché avrei avuto seri rischi e pericoli per la mia incolumità dai residenti del campo rifugiati. Di sera facevo il punto della situazione con i miei interlocutori con i quali anche durante il giorno comunicavo con whatsapp. Ho cercato la piccola Makon Kande come se fosse stata mia figlia, le ricerche continuavano giorno e notte, curando tutti i particolari, senza trascurare niente. É stato uno stillicidio febbrile di notizie, di indicazioni e di riferimenti che scambiavo con questi stranieri che mi aiutavano e con l’Italia». La circostanza gli ha permesso di fare esperienza delle fragilità umane e della disperazione di tanti aspiranti immigrati che evidentemente in attesa di partire uscivano per strada per piccoli acquisti e per chiedere aiuti economici per mangiare. Quella zona tra Sidi Mansour e Dar Ktary, nelle vicinanze di Sfax é diventata un inferno, dove l’umanità delle persone si degrada fino alla disperazione. «Dopo qualche giorno, i miei informatori mi mandarono un whatsapp con cui mi comunicarono di aver trovato la bambina. Dopo aver verificato la notizia, la mia gioia fu mista ad emozione e con celerità trasmisi le prime informazioni in Italia, assumendo le necessarie decisioni ed iniziative. Piano piano capii tutto, la bimba era stata affidata ad una donna adulta che la custodiva. Le sue condizioni fisiche erano sostanzialmente buone anche se le piaghe per la scarsa igiene cominciavano a procurarle grossi fastidì – ha ricordato ancora l’avvocato Memoli – Mi furono dette tante cose e fu escluso anche l’abbandono volontario, per cui la bimba poteva essere rilasciata soltanto se avessi dato “un grosso regalo”. Provai tutti i modi per trattare, alla fine riuscii a sapere che la bimba sarebbe rimasta in quel posto per alcuni mesi prima di imbarcarla. Era il massimo delle informazioni che potevo garantire in Italia. Come sarebbe stata consegnata alla madre, con chi, non mi fu detto. Il mio sentore era che si sarebbe accompagnata con una donna. Intanto comunicavo tutti i passaggi e le informazioni con l’Italia. Mi resi conto che la bambina doveva essere presa dalla Tunisia soltanto con l’intervento delle autorità italiane, stando la madre in Italia. Diedi delle istruzione alla mia interlocutrice, suggerii di riferirsi al Prefetto ed alla Procura competente, in modo da avere una legittimazione piena per l’intervento e far intervenire successivamente le Autorità tunisine. Altro e di più non potevo e non mi fu consentito di fare». Un patto di onore con gli interlocutori affinchè fossero fornite a Memoli tutte le informazioni sullo stato di salute della piccola, ma fu costretto ad allontanarsi da Sfax perchè furono capiti i motivi per cui si trovava in quell’inferno. «Feci in modo che fossero consegnati degli aiuti alimentari per la piccola e chi la custodiva, certamente all’interno del campo rifugiati che era inavvicinabile da me. Chiesi le foto della piccola mi furono promesse, però ebbi motivo di credere che sostanzialmente stesse bene. Tutto il resto è stato fatto dalle istituzioni italiane e dai responsabili del centro di accoglienza», ha poi aggiunto Memoli ricordando che la piccola Makon proprio di recente è arrivata in Italia, la madre con responsabili del centro avrebbe dovuto incontrarla a Lampedusa, invece ha potuto farlo ad Agrigento dopo che la piccola era stata messa su un barcone in compagnia di una donna clandestina. «Quello che conta è che, oggi, è in Italia ed io vorrei tanto abbracciarla! Ma avrei anche curiosità di sapere dalla mamma con quale crudeltà e da chi fu lasciata sola sulla spiaggia di Sfax. Le domande sono tante come la rabbia per tanto imbarbarimento di uomini su altri uomini che fanno delle vite umane un mercato fruttuoso per alcuni. I tunisini come noi italiani ed europei sono indignati da tanta crudeltà e da un fenomeno che li vede esclusi da qualsiasi partecipazione se non l’indignazione con cui il Presidente della Repubblica ha deciso di sradicare qualsiasi presenza dei subsahariani dalla zona di Sfax, distruggendo il campo dell’illegalità e della disperazione dei rifugiati – ha raccontato ancora Salvatore Memoli – Ora mi auguro che la piccola Makon viva serenamente e che non le manchi nessuna cura, sanitaria ed umana. A me resta un obbligo di continuare a credere nella giustizia che faccia luce su tutto. Purtroppo per un caso risolto ci sono ancora tanti altri che si colorano di disperazione. Finché quella gente è costretta a fuggire clandestinamente l’umanità resta indietro nei suoi doveri umanitari. Ho soltanto avuto la possibilità di trattare una goccia di un mare immenso di disperazione umana».