La campagna elettorale fu dura il 20 maggio era qui in città “Sono stato domenica in Campania, ad Avellino il mattino, a Salerno il pomeriggio, la sera a Nocera Inferiore e a Scafati. Ovunque entusiasmo, bandiere, cortei. Malgrado ciò si teme che il Mezzogiorno dia un’alta percentuale di voti monarchici”.
Di Giorgio Benvenuto
Il 2 e 3 1946 giugno si svolge in Italia il referendum istituzionale per scegliere tra Repubblica e Monarchia e si elegge l’Assemblea Costituente per redigere la Costituzione che entrerà in vigore il 1° gennaio del 1948. La Corte di Cassazione proclama i risultati definitivi il 18 giugno. Ecco i dati: Referendum elettori 28.005.449: 12.717.928 voti a favore della Repubblica, contro 10.769.284 per la Monarchia; voti nulli e schede bianche 1.498.138. Risultati alla Assemblea Costituente: 8.101.004 voti (35,21%) alla Democrazia Cristiana, 4.758.129 voti al Partito Socialista (20,68%), 4.356.686 voti (18,93%) al Partito Comunista, voti nulli 1.936.708; schede bianche 643.067 (2,6%). Nettamente minoritario si rivela il peso della Destra, diviso tra liberali (Unione Democratica Nazionale con il 6,79%), qualunquisti (Fronte dell’Uomo Qualunque con il 5,27%) e monarchici (Blocco Nazionale delle Libertà con il 2,77%). Le elezioni sanciscono inoltre una variegata e plurale presenza di culture politiche tra cui, oltre i partiti menzionati, il Partito Repubblicano Italiano (con il 4,36%) e il Partito d’Azione (con 1,45%). Tra i piccoli partiti il Movimento per l’indipendenza della Sicilia 171.201 (0,74%). La vittoria sul referendum fa decadere la Monarchia con l’esilio volontario dei Savoia (Umberto II° parte per il Portogallo il 13 giugno). Capo provvisorio dello Stato diviene il liberale Enrico De Nicola. Il socialista Giuseppe Saragat viene eletto Presidente della Costituente e Alcide De Gasperi forma il nuovo Governo composto da DC, PCI, PSI e PRI. Ho riletto in questi giorni i Diari di Nenni. Ecco qui di seguito alcuni suoi ricordi: 1 giugno: “ho chiesto stasera a De Gasperi: “si può sapere come voti domani?” Maliziosamente mi ha risposto: ”il voto è segreto” e poi ha soggiunto: ”ma sono pronto a scommettere con te che il mio Trentino nero darà più voti alla Repubblica della tua rossa Romagna”. 2 giugno: Romita mi ha telefonato che in tutto il Paese c’è calma assoluta e larga partecipazione di elettrici ed elettori. 4 giugno: giornate di ansia. Solo stasera cominciano a precisarsi i risultati del referendum. La vittoria repubblicana è considerata certa da Romita… il Re, mi ha detto De Gasperi, è rassegnato alla sua sorte. Mentre parlava dei preparativi per la partenza ha detto: “Pensate alle donne. Io posso partire in scialuppa”. Stamattina il bel Peppino (Saragat) che non sta nella pelle, ha raccontato a Togliatti e a me di aver saputo da Lupinacci che la regina ha votato per i socialisti dando la preferenza a lui…… Sono stato nel pomeriggio al Verano sulla tomba di Bruno Buozzi; al mattino a La Storta, sul luogo della sua fucilazione. Povero Bruno! Se vinciamo lo dobbiamo anche al suo sacrificio. 5 giugno: Una grande giornata che ci ripaga di molte amarezze e che può bastare per la vita di un militante. La battaglia per la Repubblica è vinta. Hanno cominciato a telefonarmi alle tre del mattino. Al Ministero e al Partito è stato un succedersi di congratulazioni e di feste. L’Avanti è uscito all’una in edizione speciale, ha un “Grazie a Nenni” di tono molto affettuoso firmato da Silone e da tutta la redazione. Poi c’è stata una riunione di capipartito, alla quale hanno partecipato anche Selvaggi, Bencivenga e Giannini. Latte e miele! Domani bisognerà cercare i monarchici col lanternino. 6 giugno: Abbiamo fatto la Repubblica, non solo contro il Quirinale, ma anche contro il Vaticano e, sulla cresta dell’onda del suffragio universale emerge vittorioso De Gasperi….. Stamane ho parlato a lungo con De Gasperi……Ha il potere e non lo abbandonerà, come è nelle regole del gioco. 11 giugno: La giornata è stata caratterizzata da imponenti manifestazioni repubblicane in tutta Italia. A Roma il popolo è sfilato per ore per il Corso e sotto il Viminale. 13 giugno: E’ finita come doveva finire. Il re è partito alle sedici da Ciampino per Lisbona. Tardi, nella serata, Il Giornale della Sera ha pubblicato il suo proclama di commiato. E’ un documento fortemente e inutilmente polemico. L’ex sovrano dice di cedere al sopruso. Con questo proclama il legittimismo che poteva assumere gli aspetti seducenti del sentimentalismo e del romanticismo risorgimentale rischia di assumere quello del resto assai meno pericoloso, della delusione e del rancore. Comunque è finita e finita bene. Un altro capitolo si chiude nella tormentatissima epoca del postfascismo. Il nuovo che si apre presenta a sua volta ardui problemi. Alcuni sono di carattere immediato…… altri ci incalzano da presso e sono il trattato di pace, la nuova Costituzione, la posizione dei lavoratori nello Stato, il livello del nuovo equilibrio politico e sociale da creare in luogo di quello rotto e spezzato. Ma ogni giorno ha la sua pena, ogni giorno la sua gioia. Accontentiamoci della gioia di questa giornata che segue l’epilogo di una battaglia per me cominciata quando ero ancora un ragazzo, anzi un ragazzaccio. Poi si vedrà. 14 giugno: Giornata calma dopo la tempesta. De Gasperi ha parlato alla radio in tono conciliativo ma fermo. E’ una fortuna in questo momento che egli sia alla testa del Governo. Non ci ha molto aiutato a fare la Repubblica, ci aiuta a superare le prime difficoltà. Sono noti i risultati elettorali per Milano e per Roma. Sono in testa a Milano, sono terzo a Roma, preceduto da Romita e da Saragat. Mi ha nuociuto essere nella lista nazionale al primo posto e si deve anche constatare che i socialisti hanno dato poche preferenze. La campagna elettorale per le prime elezioni libere in Italia nel 1946 è stata molto impegnativa. La guerra ha portato molte distruzioni, povertà, miseria, disoccupazione, malattie. E’ difficile immaginare oggi come era l’Italia di allora. Nenni così racconta il suo impegno elettorale: 20 maggio: Sono rientrato stanco morto da un giro di propaganda elettorale in Calabria ed in Campania. Sono stato domenica in Campania, ad Avellino il mattino, a Salerno il pomeriggio, la sera a Nocera Inferiore e a Scafati. Ovunque entusiasmo, bandiere, cortei. Malgrado ciò si teme che il Mezzogiorno dia un’alta percentuale di voti monarchici. Vi contribuiscono molti fattori e in primo luogo la chiesa che nel sud è decisamente monarchica. Eppure le condizioni di vita dei braccianti e dei contadini sono terrificanti. A San Giovanni in Fiore in Calabria, ho provato come italiano e come ministro un sentimento di vergogna. E’ un paese di ventimila abitanti, a mille metri d’altitudine sull’altipiano della Sila. Per la sua posizione mi ricorda Pierrefort, un paese della Francia dove fui confinato nel ’42-43. Ma che differenza! Non c’è una scuola degna di nome, non c’è ospedale. I contadini vivono in tuguri trogloditici. I bimbi sono scalzi e stracciati. Le donne a quarant’anni sembrano vecchie. Una desolazione. E’ possibile la democrazia finchè le distanze sociali rimangono al livello attuale? Ancora più impressionante il ricordo di Ignazio Silone. Così ci racconta la condizione dei contadini nel Fucino: “In capo a tutti c’è Dio, padrone del cielo. Questo ognuno lo sa. Poi, viene il principe Torlonia, padrone della terra. Poi, vengono le guardie del principe. Poi, vengono i cani delle guardie del principe. Poi nulla. Poi nulla. Poi ancora nulla. Poi vengono i cafoni”. Il percorso dalla monarchia alla repubblica è stato aspro e complicato. Mussolini cade il 24 luglio 1943. Viene arrestato per ordine del re. Il partito fascista è sciolto. Il Governo Badoglio è composto da uomini di fiducia di Vittorio Emanuele III; sono uomini tratti dall’esercito, dalla alta burocrazia, dalla magistratura amministrativa. Non ci sono esponenti dei partiti antifascisti. L’8 settembre 1943 il Governo si sbriciola. Fuggono da Roma, senza dare direttive, il Re, Badoglio, la famiglia reale con appena due ministri. Le forze armate, i cittadini, le istituzioni sono senza direttive, praticamente alla mercè delle truppe tedesche e delle redivive forze fasciste. Il CNL (Comitato di Liberazione Nazionale) chiede di cambiare il Governo per costituirne uno che sia espressione di quelle forze politiche che hanno costantemente lottato contro la dittatura fascista e fin dal settembre 1939 si sono schierate contro la guerra nazista. Il CNL pone anche il problema istituzionale: va sottoposto ad una decisione popolare. Alla fine di gennaio 1944 il Congresso dei Partiti del CNL a Bari chiede l’abdicazione immediata del re, responsabile di tutte le sciagure del paese. Il CNL è però spiazzato da Palmiro Togliatti che arriva a Salerno dall’URSS. Il 27 marzo 1944 Togliatti si limita a chiedere l’ingresso nel Governo Badoglio dei rappresentanti le forze antifasciste accantonando la questione istituzionale la cui soluzione va rinviata ad un momento più adatto perché è prioritaria la sconfitta dei nazifascisti e la liberazione di tutta l’Italia. E’ la svolta di Salerno. Nasce un nuovo Governo Badoglio ove entrano i rappresentanti dei sei partiti del CLN. Il 12 aprile Vittorio Emanuele in un proclama letto a Radio Bari nomina il figlio Luogotenente del Regno e dopo la liberazione di Roma gli trasferisce le prerogative regie, nessuna eccettuata. Il 18 giugno 1944 si dimette il Governo Badoglio e viene nominato Presidente del Consiglio Ivanoe Bonomi che con il decreto luogotenenziale n. 151 del 3 luglio 1944 stabilisce di dare ad un’Assemblea Costituente, eletta a suffragio universale, il compito, a guerra finita, di deliberare la nuova Costituzione dello Stato. Ci sono molte opinioni diverse che agitano i successivi governi presieduti da Ferruccio Parri e da Alcide De Gasperi. Pietro Nenni è inflessibile. Le donne conquistano il diritto all’elettorato attivo e passivo. Il referendum istituzionale sarà effettuato prima dell’approvazione della Costituzione. “O la Repubblica o il caos” è la parola d’ordine di Nenni. Il decreto luogotenenziale 16 marzo 1946, n. 98 indice le elezioni per il 2 e 3 giugno successivo. Gli elettori sono chiamati ad eleggere l’Assemblea Costituente e contemporaneamente a scegliere tra monarchia e repubblica. Gli italiani con il loro voto sgomberano il terreno votando per la Repubblica. L’Assemblea Costituent lavora intensamente per fare la nuova Costituzione entro il 1947. Lo scenario internazionale si complica e si aggrava per la contrapposizione crescente tra URSS e Stati Uniti d’America. Si rompe l’alleanza tra i partiti del Comitato di Liberazione Nazionale. Si frantuma l’unità sindacale. De Gasperi all’inizio del 1947, di ritorno dagli Stati Uniti ove ha incontrato il Presidente Harry Truman, estromette dal governo il PCI e il PSI. Il Partito Socialista si divide con la nascita del PSLI (Partito Socialista Lavoratori Italiani) dopo la scissione operata da Giuseppe Saragat a Palazzo Barberini. Nonostante tutto, l’Assemblea Costituente riesce a fare la Costituzione. Palmiro Togliatti dirà “è vero, siamo fuori dal Governo ma siamo e resteremo nella Costituzione”. L’arco costituzionale regge alla prova. La nuova Costituzione ha un enorme valore. E’ una svolta storica. Non è concessa come era avvenuto con lo Statuto Albertino. E’ una conquista ottenuta con la guerra di liberazione. E’ una Costituzione sociale. Il lavoro è alla base della Costituzione; i diritti delle persone sono al centro della Costituzione e l’art. 3 impegna i governi a rimuovere gli ostacoli che impediscono l’attuazione dei principi di libertà, di giustizia, di solidarietà, di eguaglianza. Il cammino dell’attuazione della Costituzione è stato molto arduo. Ha dovuto superare enormi difficoltà. Il Consiglio Superiore della Magistratura, la Corte Costituzionale, le Regioni, l’attuazione dei principi sociali, sono stati lentamente attuati nel corso degli anni. Lo Statuto dei lavoratori è stato approvato solo nel 1970, il 20 giugno. Ci sono volute molte lotte, molte iniziative, molti sacrifici. Molti operai e tanti contadini sono caduti negli scontri con la polizia cercando di far valere i loro diritti. I primi a proporre il riconoscimento dei diritti dei lavoratori erano stati cento anni fa, nel 1920, Filippo Turati e Bruno Buozzi. Li aveva riproposti negli anni ’50 Giuseppe Di Vittorio. Poi Nenni li pose come condizione per realizzare il centro sinistra nel 1963. Ci sono voluti 50 anni per essere approvati. Ci pensò Brodolini nel 1969 e dopo la sua morte Donat Cattin riuscì a far approvare lo Statuto il 20 maggio 1970. Oggi il mondo è cambiato, lo scenario è quello dell’Europa, i principi della dignità della persona, della solidarietà, della valorizzazione del lavoro devono essere riaffermati come aspetti irrinunciabili e reali del nostro Paese. La dignità di chi lavora deve tornare ad essere il pilastro sociale al quale devono riferirsi sempre l’Italia e l’Europa.